martedì 21 dicembre 2010

Soap Opera

Perdonate la schiettezza, ma qui si comincia a marcare malissimo. No, non sto perdendo la mia proverbiale pazienza. Io sono sempre capace di perdonare tutto. Tipo, quei gruppetti di ragazze ubriache incrociate la notte che hanno appena dato l'anima alla Dea Birra; o le ragazzine urlanti per niente che si danno appuntamento in Temple Rowe; le ragazze solitarie che pur di non incrociare lo sguardo altrui, posano al suolo i loro splendidi occhi color verde pastello. Ragazze inglesi! Lo si è detto, e non sarà mai abbastanza, la comprensione degli usi e dei costumi è fondamentale, quando si decide di entrare a far parte di un nuovo sistema. Ma c'è una cosa che non sopporto, e farei una guerra lampo per risolvere il problema.
Abito in ostello, ormai dovreste saperlo. Ora, in ostello non è proprio come al Grand Hotel, nel senso che può capitare, ad esempio, che dormendo in una stanza con altre sette persone di qualunque razza, genere e religione, tornando a casa ad ora tarda, ed essendo sprovvisti di torcia di fortuna, si può, che ne so, scalciare inavvertitamente un cavo di un computer attaccato alla presa, o anche un telefonino sotto carica, la parrucca di un'anziana signora, il reggiseno di una ragazzina sbadata, il necessaire da viaggio di un operaio irlandese. Tutte ste cose appena elencate sono tratte dal libro "Cose realmente accadute", ed il libro non lo troverete in nessuna libreria, lo potete leggere uscendo di casa ogni tanto. Capita pure, nel suddetto ostello, ma penso in qualunque altro ostello, che quando vi viene fame non è che vi sedete a tavola e arriva il cameriere con la lista dei vini e il menù a la carte; se siete colti dal "leggero languorino" di ambrosiana memoria, o "non ci vedete più" di festiana memoria, vi alzate e andate nella cucina comune. E' aperta dalle otto del mattino a mezzanotte, quindi avete tutto il tempo. La cucina è bella che attrezzata: ci sono pentole, padelle, piatti, posate e bicchieri, e voi potete farne l'uso che più vi si confà. Vabbè, non esageriamo, potete fare un uso delle stoviglie, diciamo, tradizionale. Poi, una volta consumato il vostro pasto, non vi dovete aspettare che venga il cameriere suddetto (che sappiamo già che non esiste) che vi propone i profiteroles, o la setteveli, e non c'è la ragazza sparecchia-tavoli. Dovete fare tutto da soli. Andate in cucina e lavate ciò che avete utilizzato per preparare e consumare da mangiare. Questa cosa vi viene suggerita con garbo dai componenti dello staff dell'ostello; se in quel momento, da quelle parti, si trova il Capitano Zoltan (vedi il post Il Capiano Zoltan), la cosa vi viene imposta con la forza, se proprio lo desiderate, e lì son dolori...
E qui scatta l'aneddoto.
Ora, dovete sapere, cari amici che avete la sfortuna di farvi tediare con le mie noncuranti di voi storie, che la common room del Backpackers Hostel di Birmingham è uno dei miei luoghi preferiti. Mi piace tanto. Ci passo i miei momenti più belli. Vado al bancone, riscaldo l'acqua, prendo la tazza, afferro il cucchiaino, metto dentro la tazza il caffè solubile, lo zucchero (4 cucchiaini, un po' per le mie carenze di affetto, un po' per coprire il gusto ciofetico del caffè soluble che non è proprio quello del bar italiano. Ho detto che mi piace la common room, non il caffè, non si può avere tutto dalla vita), il latte; poi, una volta riscaldata ben bene l'aqua, la verso nella tazza. Tutto questo lo faccio mentre parlo con Miscio (si chiama in un altro modo, cioè si scrive in un altro modo, ma sarà impossibile per me che ho vissuto gli ultimi due anni ad Acitrezza) di calcio, oppure mentre intimo ad Ester che un giorno diventerà mia moglie, o durante una spettegolata con Valentina...insomma, pare sia una cosa normalissima, non tanto degna di nota. Sto per portare la tazza alla bocca, quando, con scatto, mi accorgo che il caffè macchiato e abbondantemente zuccherato altro non è che una bevanda tanto schiumosa, ma di quella schiuma con le bollicine con gli arcobaleni in superficie. Non è la schiuma tipica del cappuccio, quella tipo " mi fa un latte schiumato, per favore!", no. E' una schiuma che sa tanto di chimico, alla vista. E allora mi vengono in mente quelle scene alle quali ho assistito tante volte nella cucina dell'ostello. E la protagonista di tale scena è sempre di sesso femminile, appartiene sempre alla fascia di età che va dai venti ai venticinque anni, è sempre, irrimediabilmente inglese.
Cercate di immaginare l'idillio: io ho appena finito di mangiare i miei tortellini, o la mia pasta all'uovo, o più modestamente la mia fetta di carne con contorno di insalata, vado in cucina per lavare le mie stoviglie, e lì vi trovo, con positiva sorpresa, sta fighetta fricchettona che sta occupando il lavabo. La fighetta fricchettona ha le seguenti caratteristiche: caspelli biondi, attaccati alla nuca, chè tanto sta a casa e non è necessario scioglierli per farli vedere al mondo; felpone datato 1992, quello che usava Brenda Walsh nelle prime due serie di Beverly Hills 90210, piercing al naso, che ormai fa talmente parte di sè che la Nostra ha smesso da tempo di cazzaggiarselo con le dita. Porta un paio di pantaloni fuseaux, con i disegnini piccoli, e con buco di ordinanza nell'interno gamba (dovrei scrivere interno coscia, ma sto per scrivere la parola "coscia" più avanti e non è bene ripetermi spesso); ai piedi, solo un paio di calzettoni lanosi e spessi, che visti così sembra che possano sfidare la pioggia con più piglio rispetto ad un paio di stivali a coscia. "Hi", "Hallo", "where're you come from" etc etc. Lei non caga moltissimo, chè sta facendo una cosa che, vedremo, le toglie tante energie nervose; io preferisco osservarla in silenzio, e la nostra conversazione, di solito, finisce lì. Così, mentre cerco di capire se ha un bel culo, se avrà la accortezza di rivolgermi un sorriso, se dorme nella mia stessa stanza, la mia attenzione viene disturbata non da ciò che l'inglesina è, ma da ciò che l'inglesina fa.
Qualunque cosa tocchi, la tocca con i soli pollice e indice di entrambe le mani. Pollice ed indice a pinzetta (dovete leggere la z di pinzetta come la z di zoo o di o zorro, non come la z di zitto, insomma più pindsetta che pintsetta) come se da un momento all'altro dal lavello dovesse uscire fuori un mostro e la ragazza è già pronta per la fuga; la laureata in "tecniche di igiene" mette il sapone direttamente sul piatto o sulla tazza, non sulla spugna; poi bisognerebbe chiamare la scientifica per cercare di capire se realmente la spugna abbia toccato la stoviglia, perchè io non me ne accorgo. Indi, arriva il capolavoro. La nostra eroina, fa passare il piatto sotto il gettito d'acqua per due nanosecondi; sul piatto c'è ancora la stessa quantità di sapone di un qualsiasi schiuma party di Ibiza, e lei, la 'Nzunza (non posso spiegare tutto ciò che scrivo, spero che la parola 'Nzunza risulti onomatopeica) ripone lo stesso piatto nel vano apposito, come se fosse stato lavato e...sciacquato. Ed è ancora pieno zeppo di sapone, se non lo aveste ancora capito. Non c'è bisogno di ulteriori commenti. "Ecco perchè in inghilterra tutto ha il sapore del sapone" mi disse con la sua solita flemma un giorno il mitico Simon.
E allora continuate ad ubriacarvi felici, ad urlare per le strade dell'Impero, continuate a fissare il suolo sotto di voi, care le mie ragazze inglesi Tanto già so che non sposerò mai nessuna di voi, non voglio mica passare la vita a lavare piatti. Di certo non lo faccio fare a voi.

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