giovedì 25 agosto 2011

Sciopero

Non scriverò di niente oggi, e neanche domani. Mi fermo, incrocio le braccia. Quindi se state cercando qualcosa qui, sappiate che per sto giro Fabio indice uno sciopero. Non scrivo, perchè non ho niente da dire, o forse perchè ce ne ho tante di cose da ribadire. Non scrivo, e quindi i nemici delle mie anafore non avranno niente su cui cimentarsi con le loro lamentele. Qui, su questa pagina, non c'è nulla. Nulla di nulla. Non voglio scrivere, per dimostrare che a volte anche la comunicazione deve stopparsi. Deve prendersi una pausa. Non scrivo, non voglio, no, no e poi no; “in una notte come questa” è troppo difficile da rendere il pensiero. Vi chiedo perdono, ma non scrivo. Meglio sarebbe prendere in prestito. Fermo al palo, stoppato dalla mia voglia di riflettere. “Sono il figlio e l'erede” di un'incomprensione lunga e larga. E quindi non scrivo, non mi diverto, non mi imbroncio, non navigo pieno di aspettative nei mari della mia immaginazione. Non sorvolo etereo i cieli brummi che mi hanno ridato una vita; non scruto le persone a me vicine, fin quando deciderò io. Non scrivo, prendo in prestito e il “cielo sa che sono un povero diavolo”; non scrivo per non dare vantaggi, per non denudarmi. Solo per questa volta. Non farò un lavoro di attenta costruzione, né mi catapulterò sulla tastiera con l'impeto ribelle della mia istintività. Proclamo uno sciopero; ci sta, di questi tempi. Non scrivo un cazzo, non ho niente da dire. C'ho troppe cose da esternare. Mi sposto di un paio di gradi; potete vederlo come un invito. Su, forza, tocca a voi, vediamo di cosa siete capaci. Non è una guerra contro il mondo. È soltanto una decisione, estemporanea. Oggi proprio non scrivo, e neanche domani, per dimostrare che l'incomunicabilità esiste. Per indossare il costume di chi si chiude a riccio; per ricordare al mondo che con il silenzio si ottiene il silenzio. Non scrivo, no! Regola numero uno: se non vuoi scrivere, non farlo. Magari vai a dormire. Giusto! Non scrivo, sta settimana salta, nessuno si strapperà i capelli, nessuno si morderà le mani. Meglio, mi riposo. Anche se è rilassante, non stressante, scrivere, per me. Ma questa è un'altra storia. Intanto non scrivo, non riempio il foglio per il semplice di gusto di farlo. Non scrivo perchè non hai capito che “ogni giorno devi dire: oh cosa penso della mia vita?”- prendo in prestito. Sì, come le persone ridicole, i pigri, le mignatte attaccate alle vene, di mercoledi sera. Non scrivo, perchè a volte il mio viene dopo il tuo, il loro, il vostro. E quindi SCIOPERO!!! Perchè ogni tanto si può anche decidere di non fare, e chiedere, prendendo in prestito:”dunque che differenza fa?”. Perchè si può anche non comunicare. E quindi oggi non scrivo, in barba alle lettrici del Canada, alla disciplina e al mio istinto primordiale. Non scrivo, oggi e domani, e dopodomani. Riprenderemo a data da destinarsi. Indetto uno sciopero. La mia anima radicale... Non scrivo, ma prendo in prestito:”eppure continuo a volervi bene”. Non scrivo perchè “ci vuol tempo per queste cose, e so di essere l'anima più inetta che sia mai esistita”. Non creo, semmai lo abbia fatto veramente; non butto giù, non metto nero su bianco. E non chiedo a nessuno di comprendere, semmai lo abbia veramente fatto. “Adolescente e nel cuore degli anni, mi lascerai alle tue spalle...”. Non scrivo oggi, Amici Miei Amati, per dimostrare che la comunicazione può anche non esistere. O forse, per dimostrare esattamente il contrario.

venerdì 19 agosto 2011

La Guerra dei Due Mondi

Orde di persone che sanno ciò che vogliono, e di persone che non sanno ancora, o che fanno finta di non sapere; eserciti, temi ricorrenti, barbe che crescono, sguardi assassini, sguardi che uccidono con dolcezza. Il mio braccio destro proteso verso sud, ha tutti i crismi per sentirsi abile e arruolabile. La mia mano sinistra finalmente regge la mia tazza da caffè nuova, quella che mi ha regalato Misci per Natale. C'è chi mi sta tirando proprio per il braccio destro, proteso verso sud, ma lo sta facendo con astuzia. Casa mia è qui, anche adesso che vivo il periodo statico di chi non ci sta capendo molto. È un Agosto strano, fatto di giubbotti e di freddo; fatto di placide attese, inebriato dal ritorno dei vacanzieri che rientrano dopo visite fredde nelle loro case. Casa mia è qui, anche e soprattutto quando bande di ribelli provano a spaccarne il vetro di qualche finestra; quando sento come centro della mia persona quel dato punto della common room in cui mi siedo per scrivere ciò che sto scrivendo. A volte mi ci incazzo, con la vita dico. Mi ci incazzo perchè vorrei che tutto fosse perfetto, ma poi riscopro in me l'onestà di chi sa che un luogo (o un tempo) può anche essere perfetto, se solo stesse fermo un attimo. Qui invece è sempre tutto in continuo movimento, come un pezzo dei Fugazi, come Italia-Germania 4 a 3, come la parabola disegnata da un missile. Allora mi astraggo da tutto e non smetto di pensare, qualcosa che mi porterà una bella malattia sana. L'Uomo degli ossimori. L'Uomo cangiante, mutevole, determinato solo per pochi minuti. Assisto ad una specie di gara, chi la spunterà? Mi siedo e assisto con semplicità, senza farmi troppe domande; lo avete capito finalmente? Io, indurito e poetico, vittima e assassino, guardo e passo, come se non fosse più importante che la vostra natura sia carnefice o semplicemente noncurante. Notti passate a sognare di noi due, in cui uno di noi due sono io, l'altra cambia aspetto, forme, sogni e meraviglie. Gioca, gioca pure con me, o contro di me. Che bello essere Fabio! Che fantastica sensazione scoprire che le percezioni cambiano il gusto e l'olfatto, le meraviglie e i colpi di scena. La mia filosofia è sempre quella, Future Doesn't Exist, ma poi mi ritrovo a pianificare una piccola succulenta vendetta. Te ne farò regalo tra qualche giovedi, in mezzo ai fiori, in mezzo alle lattine di birra, in mezzo ai manicaretti offerti dall'uomo invisibile. La testa continua nei suoi viaggi, va verso il basso e ritorna su. E quando torna su provi gli stessi dolori di quando scendeva, ma sai che sta arrivando il sollievo. Cosa prepariamo per pranzo? Qualcuno mi offre un gelato, io rifiuto, perchè adesso vivo e sento attraverso le cervici, e il cuore lo schiuderò nel momento opportuno, nei momenti opportuni. Puoi provare quanto vuoi ad ottundere i miei incanti, la parte cattiva di me sarà sempre pronta a trovare i mille difetti che ti invadono la faccia. Ma non è poi tanto cattiva quella parte di me. Poi arriva la ragazza dai due nomi... scannerizzerò il cielo, lo farò presto, leggendo due libri. Stacco per un attimo, manderò due cartoline e mangerò una granita. Tanto poi si ricomincia, con o senza la voglia di disciplinare i mesi che verranno. Con la brama di incrociare nuovi occhi, scoprendo il mio inglese migliorato, giocando a calcio nel pomeriggio cupo e dark delle colline del West Midland; sorseggiando un the buonissimo, fumando sigarette costosissime, iscrivendomi finalmente ad un sito di poker on line. Con il desiderio di fermare il tempo, giusto un attimo, per provare a renderlo perfetto. Con l'ingordigia di mettere fieno buono in cascina; con la smania di capire che tutto va vissuto, ma al tempo stesso con l'avidità di “regolarizzare” il tutto un attimo, e magari farlo per sempre. Un camino, un letto sfatto, un parquet, un paio di occhiali, o anche no. Vorrei una frotta di individui pronti a fare a gara per contendermi lì, nel profondo sud. Mi avete da sempre, amici miei, mi avrete per poco, amati miei. Intanto mi godo questa Guerra che non è insensata solo perchè fa parte dell'esistenza; torna in me la consapevolezza che tutto è Vita, ma questo l'ho già detto altre volte, per altre situazioni, proprio altre, diametralmente opposte. Adesso stacco la mia faccia dal pavimento, con cura, senza strappi; mi rialzo, bevo una bevanda alla vitamina C, preparo le gambe con un po' di streching, tolgo le caccolette dagli occhi, mi sistemo il ciuffetto teenager, do due pugni all'aria a mo' di preparazione, metto a fuoco il mondo che mi circonda, ricordo a me stesso che non sono poi così male, e corro verso l'ennesimo colpo bastardo che la vita mi riserverà.

giovedì 11 agosto 2011

Abbiamo Fatto Bene

Lasciare casa, preparare un minimo di bagaglio, salutare tutti. Dare un'occhiata alla common room, che è common room per gli altri, per me è il soggiorno di casa. Dare un'ultima occhiata ai ragazzi. Prendo il treno per Newcastle. Vado a vedere Luca dopo un anno esatto dalla nostra schizofrenica scelta. La stazione, i viaggiatori, il biglietto, lo zaino sulle spalle, il portafogli dentro i luoghi più sicuri; la stazione, quella che mi accolse tanto tempo fa, quella che mi rigettò poco dopo, io e Luca non volevamo andare via. Io tornai poco dopo. La stazione di New Street, lo zaino sulle spalle, le ragazze universitarie pronte anche loro ad andare via. Lo strattone del primo movimento del treno, la stazione che si allontana, la strana sensazione tipica di chi crede di avere forse dimenticato qualcosa. Burton on Trent, Derby, Chesterfield dove ad una ragazza ho spezzato il cuore, Sheffield e il suo carico di bruttezze; e poi ancora Wakefied, Leeds, dove giocava il Maledetto United, York, Darlington e Durham. Prima di arrivare a Newcastle me le faccio tutte; ad ogni stazione le case coi mattoncini rossi, le ragazze sedute, le loro All Star, gli auricolari ormai continuazione dei loro corpi. Spacco l'Inghilterra in due come una mela. La apro per vedere cosa c'ha dentro. La scruto perchè sono da solo; ne sento quasi l'odore. Incrocio lo sguardo con una ragazza asiatica attraverso il riflesso del finestrino. Il finestrino poi mi apre il mondo dell'Isola più famosa del mondo. Il treno traccia una lunga diagonale, dal centro al nord, e casa si allontana. È come se tutto ciò mi stesse dicendo che ne avevo bisogno, che dovevo fermarmi un attimo, che dovevo salire su un treno, che dovevo tagliare l'Inghilterra in due come una mela. Nove fermate, nove volte ridesto lo sguardo dal mio laptop. Mattoncini rossi, ancora una ragazza seduta su una panchina, auricolari alle orecchie, All Stars come evergreen di tutte le generazioni, borsa a portata di vista,; dentro quella borsa c'è sicuramente il suo mondo, la sua roba, tutti i suoi oggetti che hanno col tempo preso anatomicamente la forma che lei ha dato loro. Nove stazioni con il cartello “welcome”, nove volte l'altoparlante interno del Cross Country ci ripete che dobbiamo fare ancora tanta strada. Nove, più Birmingham, la partenza, più Newcastle, l'arrivo. Per un totale di undici. Come una squadra di calcio. La squadra di calcio è lì che mi aspetta, ma è solo una scusa. Un anno, è passato un anno da quella schizofrenica scelta; Luca ha preso una strada tanto tortuosa quanto la mia, anche se la sua vita non è cambiata poi di molto. Sempre le stesse facce, i calciatori...ti guardano seduti nella hall dell'albergo e ti chiedono con gli occhi di cagarli un po'. “Andiamo a mangiare al Mc Donald...abbiamo tante cose da dirci”. Ma non c'è poi tanto da dirsi; basta guardarsi negli occhi, basta ricordarsi che abbiamo fatto bene, che tutto è stato fatto bene; e ancora che abbiamo fatto bene a dire un bell'arrivederci. Mi sembra di stare ancora su quel treno, mi sembra di aver chiesto a Luca di salire and carry on... Come quando sto da solo, mangio un panino in un angolo nascosto nel verde di Newcastle. Città di merda, ma non importa, c'ho un grosso elastico attaccato alla schiena, giusto il tempo di tagliare in due l'Isola come una mela, giusto il tempo di ricordare a Luca che abbiamo fatto bene, il tempo di farmi ricordare da Luca che abbiamo fatto bene. La felpa, lo store del Newcastle United, la pioggia, il freddo. Ancora il tempo di assaporare il clima nostalgico della stazione, e poi via di rincorsa. Casa, Birmingham, mi aspetta. Durham, Darlington, York, Luca è ancora qui con me, anche se sono solo, anche se a farmi compagnia c'è il cielo d'Inghilterra, lo sguardo asiatico attraverso il riflesso del finestrino, le gocce di pioggia che si scompongono sul vetro. Leeds dell'altro United, quello Maledetto, Wakefield e Sheffield, la città delle brutture; montagnole sgraziate e praterie indimenticabili dentro un'estate atipica, almeno per me. Poi il cielo, il malessere che guardo dritto negli occhi, il malessere che sconfiggo, e il cielo, con le nuvole parlanti. Chesterfield, dove ho spezzato il cuore ad una ragazza, Derby, Burton on Trent, ancora stazioni, ancora mattoncini rossi, ancora ragazze solitarie, All Star evergreen ai piedi, auricolari, borse a tracolla... e io, soggetto e oggetto di un lungo rinculo; torno a casa, come fossi stato in apnea, come c'avessi la fotta che non ho mai avuto prima. Come se casa mi stesse aspettando per ridarsi a me. Qualcosa in più, dentro il mio zaino sulle mie spalle, dentro la mia mente che si espande, dentro il mio mucchio di ricordi in disordine. Con Luca ce lo siamo detti, abbiamo fatto bene. Adesso so che lui, insieme ai calciatori dentro un aereo sulla via di Firenze la Bella, mi sa a casa mia, a casa nostra. Casa mia mi rivuole; spalanco la porta, penso a cosa cucinare, indosso la maglietta comprata nello store del Newcastle United. Riorganizzo le idee prima di ricominciare. Ancora stazioni, ancora ragazze con le All Star, ancora auricolari e riflessi di finestrini. Almeno questo, pensavo, prima della Rivolta... Ma sconfiggeremo anche quella, e diremo ancora che abbiamo fatto bene.

sabato 6 agosto 2011

Repetita Juvant (?) -la storia della Signora Memento

Di tutto, succede l'impossibile, ormai non ci si stupisce più. Andiamo tutti alla festa di Matilda. All'ennesima festa, all'ennesimo party; su, a casa di Matilda, che è americana del Vermount, o del Oklahoma, o di qualunque altro Stato Unito. Raggiungiamo il ventottesimo piano dl grattacielo più alto di Brummolandia, c'è tanta gente che ci aspetta. C'è così tanta gente che nessuno risponde al citofono...casinari; e però, c'è talmente tanta gente che quel cazzone del portiere del grattacielo dovrebbe saperlo che ci stanno aspettando e quindi potrebbe anche aprirci il portone. Niente, non si muove di un centimetro 'sto stronzo. “Dai, ormai mi conosci, dovresti saperlo che siamo tutti qui per andare all'ennesima festa di Matilda l'americana; io sono quello delle altre mille volte”- dico io col tono di chi sa usare la proverbiale logica. Vari tentativi, poi l'uomo negletto si muove a compassione: “ok, vai tu”- mi dice, con aria stanca, “e torna con qualcuno, chè io non mi fido”. “Of course, and thanks a lot”- gli rispondo. Poi sussurro un bel “vaffanculo”. L'ascensore è capienterrimo per uno soltanto, specialmente per me che sono un peso piuma, sembra quasi che ci sia l'eco. Dlin, la porta del suddetto si spalanca malandrina, esco fuori e sono già davanti all'ingresso di casa Matilda, la ragazza americana, spesso e sovente ubriaca persa. È giustappunto lei che mi viene incontro; due baci negli angoli della bocca, che non fanno mai male ( la nostra Matilda oltre ad essere ubriaca in modo cronico è anche una gran figa), ed eccomi nel bel mezzo del flat. Kim mi raggiunge tosto : “ciao Fabiooooo” urla indianamente. Nel contempo cerco di spiegare a Matilda che la combriccola sta vivendo la sventura di aspettare giù, che qualcuno vada a prenderli, chè il negletto non vuole farli entrare senza un visto ufficiale. Matilda, col suo sorriso assente, mi rassicura che andrà lei a dirgliene quattro al portiere, e che darà il via libera ai cordialmente convenuti al baccanale. Mi rivolto, ma Kim non c'è più. In compenso mi si avvicina un'altra indianina. “Ciao”- esordisce“tu devi essere il famoso Fabio”. Io penso sistematicamente un glorioso “micacazzi”, lei continua dicendo il suo nome, che non ricordo. Ma non prendetevela con me, vedrete che la mia mancanza è nulla rispetto a ciò che leggerete. La ragazza è carina, ha dei bei capelli lisci nero corvino, due occhi profondi come solo le ragazze del subcontinente a volte sanno avere, la pelle liscia, la carnagione olivastra...insomma, la serata la si potrebbe passare con mucho gusto con la bella indiana. Da dove vieni, dove stai andando, che fai qui a Brummia, da quanto tempo, sei ubriaco...mi aspetto le mille domande tipiche della conversazione che sembra debba scivolare lenta ma lasciva sui binari dell'ordinario. Poi, ad un certo punto succede qualcosa. Mi accorgo che la ragazza, di cui non ricordo il nome, ma vi renderete presto conto che la mia mancanza non mi evita di apparire in confronto alla suddetta una specie di Pico della Mirandola, comincia a ripetere le cose che ha appena detto. “Tu sei siciliano? Quindi mafioso! Ma lo sai che ho conosciuto uno della mafia irlandese?”- mi dice. Bene! Un attimo dopo mi chiede: “da dov'è che vieni?”. Io le rispondo che sono siciliano, ma col tono di chi si è già espresso in tal senso; e lei, quasi con meraviglia, e con la voglia di rendermi partecipe di una specie di segreto mi riinoltra un: “Tu sei siciliano? Quindi mafioso! Ma lo sai che ho conosciuto uno della mafia irlandese?”. Io resto interdetto, almeno un pochino. Ma ci sta, non credete? Poi mi dice che abita negli Stati Uniti, South Carolina, quindi mi chiede: “Tu, come hai detto che ti chiami? E da dove vieni?”. Io resto un lungo, quasi interminabile secondo, a scrutarla; a lei pare che io la stia guardando con chissà quali nascosti secondi fini, quindi ammicca non poco. Ma il secondo interminabile non è ancora finito; penso un attimo che si stia trattando di uno scherzo, ma non ci vedo niente di plausibile in tutto ciò. Realizzo ufficialmente che sto chiacchierando con una demente: “sono siciliano”- balbetto. “Tu sei siciliano?”- dice lei strabuzzando gli occhi-” Quindi mafioso! Ma lo sai che ho conosciuto uno della mafia irlandese?”. Sto quasi per dirle che sì, lo so me l'hai appena detto...ma il famoso genio che si impossessa di me di tanto in tanto mi chiude sapientemente la bocca come se nel contempo mi stesse suggerendo il comportamento da adottare. Allora il mio occhio si trasforma; e da incredulo passa ad essere furbo e maligno. “Quindi, cara la mia indianina, tu vivi in America!!!”- le dico sorridendole con gli occhi. Lei spalanca tutto, bocca sapiente, occhi nero corvino, e narici subcontinelntali: “e tu come fai a saperlo!?!”- mi rimanda incredula e colpita. “Eh, sapessi, io sono un indovino”- sto gioco mi piace da subito- “posso anche dirti in quale stato abiti”. A questo punto Memento, chiamiamola così, sorride di gusto, come se sapesse che la sfida nella quale mi sono cacciato è per me una missione impossibile. “Dunque, vediamo”- faccio finta di riflettere –“Carolina, hai la faccia da Carolina”- dico, e nel frattempo socchiudo un occhio che ho furbescamente chiuso poco prima nell'atto di apparire in tantrica concentrazione- “secondo me vieni dal South Carolina”. “Noooooo”- mi dice Memento l'indianina, la donna a cui manca l'Hard Disk interno. “Dai, hai sentito prima mentre parlavo con quell'altro ragazzo”. “No, sono appena arrivato e non ho parlato con nessuno”. E' ai miei piedi, l'ho con facilità convinta che sono una specie di Mago Otelma, il Divino. La pratica è semplice come bere un bicchiere d'acqua. Basta farle una domanda, attendere la risposta articolata; quindi rifare la domanda e dire, anticipando la risposta: “no, no no, aspetta un attimo, voglio indovinare”. Ci raggiunge Andrea; lei ammicca un pochino anche nei suoi confronti, poi gli chiede: “Tu da dove vieni?”. “Italia”- risponde Andrea. “Italiano? Quindi mafioso! Ma lo sai che...” eccetera eccetera... Andrea sembra divertito e anche un po' interessato. Poi anche per lui arriva il momento in ci deve rendersi conto che sta avendo a che fare con Memento. E la cosa avviene quando lei, trenta secondi dopo il loro primo approccio, gli chiede: “Da dove vieni?”. Andrea risponde anche lui con il tono di chi sottintende: “ma, ma, ma”- ad Andrea piace sottintendere balbettando- “ma te l'ho appena detto”. Non fa in tempo a dire “Italia” che già la Nostra Eroina (probabilmente “eroina” in senso stupefacente) sta già esclamando il suo accorato: “Italiano? Quindi mafioso! Ma lo sai che ho conosciuto uno della mafia irlandese?”. È arrivato il momento di ergerci a novelli Benigni e Troisi, e calorosamente ringraziare Memento per gli attimi di giubilo che ci ha regalato, ma come i suddetti con il funzionario doganale toscano che imponeva loro il pagamento di “Un Fiorino” dimenticando che i due erano appena passati dalla stessa dogana, ci prendiamo la briga di dedicarle l'ennesimo Vaffanculo della nostra vita. Con buona pace del resto del mondo, non so come dirvelo, ma io qui mi diverto un casino, anche per gli incontri meravigliosi con gente come l'indianina Memento, che beve due bicchieri di vodka e si riduce così. Alla prossima festa di Matilda...