mercoledì 29 dicembre 2010

Il Mio Regalo per Te

“Negletta prole nascemmo al pianto/ e la ragione in grembo de' celesti si posa”. Giacomo Leopardi


Chissà dov'ero, quel giorno, mentre venivi al mondo. Chissà se, nei miei giochi di bambino, ho provato un fremito in quello stesso istante. Non lava nulla, perchè non c'è nulla da lavare, questo 30 dicembre, non si propone nessun atto, e non è una vendetta. E' il 30 dicembre, punto e stop. Esiliato, mentre fuori nevica, vedo partire questa freccia; farà un lungo viaggio e ti trafiggerà, oppure si fermerà ad un metro da te. Ti osserverà, latrice dei miei occhi impauriti, mentre starai davanti alle fiammelle accese, mentre tutti ti guarderanno, mentre tu continuerai a cercare te stessa. 30 dicembre, per nessuno importante; domani, sì, domani stapperemo le bottiglie. 3O dicembre, la terra di mezzo, uno stagno, un mare, un oceano. 30 dicembre, mai realmente vissuto (da me), posato lì, in magazzino. Ma profuma tanto, il 30 dicembre, profuma di fiori...luccica, come un regalo prezioso. 30 dicembre, menomato dalla più grande delle distanze, ma è lì. E nessuno lo tocca. Scorrono le lancette dell'orologio, e lui, il 30 dicembre, resta lì. Non se ne va. Ed è giusto così. Per gli altri è solo l'ennesima pizza, la torta, il regalo, le foto, la quiete, prima della tempesta dei botti di capodanno. E per me è, invece, il 30 dicembre...E proverà a ricordartelo, che bastavi alla tua persona e al mondo intero; e a me. “Ma tu cosa vuoi dalla vita?”- e una preghiera si impadronì di me. “Serenità” fu la risposta, e la preghiera, in quel momento fu ascoltata. Nostro Mondo. Errata corrige:”Noi siamo uguali, non siamo diversi, Tonight, tonigh!”(fatevene una ragione cari Smashing Pumpkins). Tu ed io, abbattute tutte le barriere, amabilmente malinconici, Regina e Re di tutti i nostri punti di vista e da tutte le nostre angolazioni, terminatori e definitivi, quella notte, o quel giorno, o quel pomeriggio (quant'è bello dimenticare le sembianze del tempo, quando abbiamo tutto lì, con noi- ma ricordo perfettamente che erano le tre del mattino e ci eravamo amati tanto) ascoltavamo quel cantante che cantava:”mi rendi migliore, mi fai sentire a casa”. E io premevo costantemente il tasto per far ricominciare la canzone; “un'ultima volta, poi ci salutiamo”- dissi, senza dire niente. Tu, io, le nostre bocche. Non si volevano lasciare. Che qualcos'altro minasse quel momento. Fatto di noi. Che forse sapevamo. Come sarebbe andata a finire. Enjambement... E poi eserciti medievali, international phonetic alphabet, “Ami”, le parole ricercate, “mangia!”, gli mms bevendo un'aranciata... “Mia moglie”, Alessandro Baricco, Candido (di Sciascia), i Pixies, i dolci comprati in quel bar, il bucato, la spia dell'acqua, i sorrisi forzati e quelli sinceri; “Mio marito”, Norwegian Wood, quei film che mai riguarderò, e la mia Fierezza; e un Futuro che mi si apriva davanti... 30 dicembre, come un sordo grido, nella notte di Birmingham, appeso, con un cappio intorno al collo. Ma che importa! La Morte non riuscirà mai a sopraffare il Sentimento, questa è la lezione. E importa che è il 30 dicembre, non c'è un prima, non c'è un dopo. Non ricordo più la tua faccia, succede. Prima di oggi, il 30 dicembre, e dopo, mi armo di scudo e giavellotto, di elmetto e scimitarra, e armatura contro me stesso; e quei fantasmi... A volte mi chiedo come tu abbia fatto. Ma basta con le domande, oggi è il 30 dicembre. “Io ho una memoria selettiva”. Che bello non riversare nulla di cattivo in questa pagina. Il 30 dicembre mi apparterrà per sempre. Unico punto di contatto. Il 30 dicembre è uno scrigno, e io lo apro. E ti vedo, piccola e spaesata; premurosa e goliardica, colta in modo volutamente “desultorio”, e quindi spartana altrettanto; nobile e popolana, lasciva, intraprendente, amara e generosa. Umana. Infinitamente Donna. Lacrime, tante e per tanti motivi. Perchè “amare è una cosa semplice”. Puoi ricordarlo a te stessa.. Lacrime, di quando non riuscivo a farti mia, e di quando non riuscivi a farmi tuo. Odio le montagne russe, e tu mi ci hai portato. Sei stata brava? Che importa! No, non può essere, non mi hai mentito per tutto questo tempo, il mio sarebbe stato un “rifiorire” di plastica. Non ricordo la tua faccia, ma gli occhi, gli occhi “completi”, sì. Il 30 dicembre, stanotte mi è venuto in sogno, e mi ha detto:”salvala, contienila”. E' difficile, ho risposto. Goccioline di acqua limpida tenute insieme maldestramente da dita sudicie insudicite... Il tuo cuore striminzito-come le tue minigonne- aveva ragione. I tuoi occhi imploranti c'avevano visto giusto. Le tue parole misurate rendevano benissimo ciò che potenzialmente siamo. E tutto questo oggi, il 30 dicembre. Quelle lunghe notti parlando al telefono. Ma quanto era nostra la notte! E la nostra clandestinità, che ci implorava di non abbandonarla. Sciagurati, non l'abbiamo ascoltata. E invece Tu ed io, Narciso e Boccadoro, ci siamo scambiati i ruoli, e nel nostro incedere ci siamo incrociati a metà strada, e ci siamo guardati negli occhi. Che momento. E non ammetto nessun ma, perchè questo è il 30 dicembre. Che non si cura del fatto che sei l'Angelo Caduto, come il Prediletto di Dio, perduto nell'abisso, che è un abisso mio e soltanto a me appartiene. Il 30 dicembre mi viene in soccorso, e insieme ti teniamo in alto. Il 30 dicembre continua a renderti concreta, vera; esisti. Perchè la bellezza non è solo tentatrice, no, non può essere solo così; la bellezza deve per forza rappresentare qualcosa di aureo:”Cosa vuoi mangiare stasera?”. C'eravamo quasi riusciti. Oggi è il 30 dicembre, e io ti ho capita. Ho capito il tuo strazio, le tue vergogne, le tue grida, e anche il tuo girovagare da un modo di vivere ad un altro; e la tua pigra ricerca della felicità, perchè a volte la tristezza e la malinconia ci rendono più vivi. Quanto siamo uguali!!!. Il tuo senso dell'amore- la tua parte migliore, mi dispiace che ti sfugga, di tanto in tanto, o sovente; mi dispiace tantissimo. Non ti lascerò scappare, in un'altra vita. Sarò più forte, in un'altra vita. E visto che il 30 dicembre me lo ha detto, visto che il 30 dicembre è rimasto vergine, perchè non lo abbiamo rocambolescamente mai vissuto, adesso io so che sei rimasta lì, appiccicata al mio petto, sveglia nella notte, fiera della idea stessa di me; malata al pensiero di perdermi, con tutte le mie foto a portata di mano...in un'altra vita. E allora, in questo 30 dicembre che è tuo, la mia freccia si avvicina nell'unico modo possibile, e te lo sussurra ad un orecchio, come se ti stesse traducendo una canzone dall'inglese, perchè così ha deciso il destino, “e la ragione in grembo de' celesti si posa”: tanti tanti tanti tanti tanti auguri...

Ho finito.

venerdì 24 dicembre 2010

Buon Natale (?)

"Splende il sole anche d'inverno, pallido e indefinito come un alone di sperma nelle lenzuola faticose di un quattordicenne" scrisse un Tale. Be', splende il sole anche qui, nel West Midland, e con lavoro certosino cerca di sciogliere la neve, diventata ghiaccio, dei marciapiede della città brumma. Fino a quando non torneranno le nuvole, e la pioggia si trasformerà in fiocchi grossi, e le strade si ripopoleranno di bianco. Io cammino, butto lo sguardo a destra mentre attraverso, il sole basso, che più in là non va, non mi schiaffeggia con furia, non mi accarezza con dolcezza, mi si presenta e mi riempie il viso. Mi sembra di vedermi, in questa vigilia di Cristmas, con i miei occhi che diventano più verdi, più nocciola, con quell'aria triste scoperta dalla luce solare; camminando al ritmo di Yuppie Flu, in una mano il vino per stasera, nell'altra il regalo di Miscio. E' uno di quei giorni in cui mi fermo, arresto le mie frenetiche attività cerebrali, e mi chiedo:"ma cosa sto facendo?". Natale, come una scure che mi taglia il volto, come un voto disatteso, con la tuta e il maglione meno alla moda, tanto qua non importa a nessuno. Poi la domanda diventa più concreta:"Che Natale sarà?". Bisogna attendere per sapere la risposta. Rientro a casa, tolgo gli auricolari, e i Beirut e il loro folk melodico mi inebriano. Mamma starà sicuramente preparando le sue specialità. Per sto giro Christian non può chiamarmi per vederci dopo la mezzanotte a casa sua e giocare fino alle cinque, e lasciare che la bocca diventi amara per le tante sigarette, per il bicchiere in più (uno soltanto- sono astemio). Lì, dove ho passato i Natali più belli, ci saranno sempre le solite sorprendenti cose. E nella mia testa, dentro di me, cerco di immaginare i pensieri di tutti. Mi chiedo, maldestro, se tutto questo è un film di cui sono protagonista. Lo è per me, e per qualcun altro forse. Cammino per le strade di questa Birmingham che riesce ad essere naturale e frenetica al tempo stesso; mi guarda una tipa, vaffanculo, le dico, tra me e me. E Buon Natale le dico, tra me e me. E' solo un'altra, ennesima, occasione per stare da solo, mentre la casa si popolerà di persone con le quali non passerò mai più un Natale in vita mia. C'è la biondo-algerina, e la sua amica. Entrambe parlano un disastroso inglese. C'è Valentina, che renderà quest'occasione italiana, tanto riesce a sopraffare il resto della compagnia. C'è sto tipo che mi guarda e ridiamo- sappiamo bene il perchè, ma è un quasi segreto. C'è Peter il factotum, che pensa erroneamete che io sia felice di mangiare il suo piccantissimo salame ungherese; c'è lo schermo gigante, spento. C'è questa attesa per una festa sciancata, in cui ci scambieremo regali e reciteremo una commedia a cui manca poco per trasformarsi in dramma. Perchè qui è bello nei momenti ordinari; perchè io il mio braccio di ferro quotidiano lo vinco con o senza sforzo. Ma a Natale è un tantino differente, perchè il Natale non è un cazzo di Ferragosto, o la scampagnata del venticinque aprile; il Natale non è la festa cadenzata dal tempo che l'uomo ha creato. Il Natale è dentro il nostro corpo, è entrato in circolo, ci ha chesto tanto tempo fa di far parte di noi. E noi non solo glielo abbiamo permesso, anzi, abbiamo urlato festanti:"Ma certo, accomodati!!!".
Così il timore di un Natale che salta prende forma in me, e mentre rispondo alla domanda semplice ("ma cosa sto facendo?") nel più semplice dei modi ("ciò che va fatto"), rivolgo un pesiero ad ognuno di voi.
Auguri.
Fabio

martedì 21 dicembre 2010

Soap Opera

Perdonate la schiettezza, ma qui si comincia a marcare malissimo. No, non sto perdendo la mia proverbiale pazienza. Io sono sempre capace di perdonare tutto. Tipo, quei gruppetti di ragazze ubriache incrociate la notte che hanno appena dato l'anima alla Dea Birra; o le ragazzine urlanti per niente che si danno appuntamento in Temple Rowe; le ragazze solitarie che pur di non incrociare lo sguardo altrui, posano al suolo i loro splendidi occhi color verde pastello. Ragazze inglesi! Lo si è detto, e non sarà mai abbastanza, la comprensione degli usi e dei costumi è fondamentale, quando si decide di entrare a far parte di un nuovo sistema. Ma c'è una cosa che non sopporto, e farei una guerra lampo per risolvere il problema.
Abito in ostello, ormai dovreste saperlo. Ora, in ostello non è proprio come al Grand Hotel, nel senso che può capitare, ad esempio, che dormendo in una stanza con altre sette persone di qualunque razza, genere e religione, tornando a casa ad ora tarda, ed essendo sprovvisti di torcia di fortuna, si può, che ne so, scalciare inavvertitamente un cavo di un computer attaccato alla presa, o anche un telefonino sotto carica, la parrucca di un'anziana signora, il reggiseno di una ragazzina sbadata, il necessaire da viaggio di un operaio irlandese. Tutte ste cose appena elencate sono tratte dal libro "Cose realmente accadute", ed il libro non lo troverete in nessuna libreria, lo potete leggere uscendo di casa ogni tanto. Capita pure, nel suddetto ostello, ma penso in qualunque altro ostello, che quando vi viene fame non è che vi sedete a tavola e arriva il cameriere con la lista dei vini e il menù a la carte; se siete colti dal "leggero languorino" di ambrosiana memoria, o "non ci vedete più" di festiana memoria, vi alzate e andate nella cucina comune. E' aperta dalle otto del mattino a mezzanotte, quindi avete tutto il tempo. La cucina è bella che attrezzata: ci sono pentole, padelle, piatti, posate e bicchieri, e voi potete farne l'uso che più vi si confà. Vabbè, non esageriamo, potete fare un uso delle stoviglie, diciamo, tradizionale. Poi, una volta consumato il vostro pasto, non vi dovete aspettare che venga il cameriere suddetto (che sappiamo già che non esiste) che vi propone i profiteroles, o la setteveli, e non c'è la ragazza sparecchia-tavoli. Dovete fare tutto da soli. Andate in cucina e lavate ciò che avete utilizzato per preparare e consumare da mangiare. Questa cosa vi viene suggerita con garbo dai componenti dello staff dell'ostello; se in quel momento, da quelle parti, si trova il Capitano Zoltan (vedi il post Il Capiano Zoltan), la cosa vi viene imposta con la forza, se proprio lo desiderate, e lì son dolori...
E qui scatta l'aneddoto.
Ora, dovete sapere, cari amici che avete la sfortuna di farvi tediare con le mie noncuranti di voi storie, che la common room del Backpackers Hostel di Birmingham è uno dei miei luoghi preferiti. Mi piace tanto. Ci passo i miei momenti più belli. Vado al bancone, riscaldo l'acqua, prendo la tazza, afferro il cucchiaino, metto dentro la tazza il caffè solubile, lo zucchero (4 cucchiaini, un po' per le mie carenze di affetto, un po' per coprire il gusto ciofetico del caffè soluble che non è proprio quello del bar italiano. Ho detto che mi piace la common room, non il caffè, non si può avere tutto dalla vita), il latte; poi, una volta riscaldata ben bene l'aqua, la verso nella tazza. Tutto questo lo faccio mentre parlo con Miscio (si chiama in un altro modo, cioè si scrive in un altro modo, ma sarà impossibile per me che ho vissuto gli ultimi due anni ad Acitrezza) di calcio, oppure mentre intimo ad Ester che un giorno diventerà mia moglie, o durante una spettegolata con Valentina...insomma, pare sia una cosa normalissima, non tanto degna di nota. Sto per portare la tazza alla bocca, quando, con scatto, mi accorgo che il caffè macchiato e abbondantemente zuccherato altro non è che una bevanda tanto schiumosa, ma di quella schiuma con le bollicine con gli arcobaleni in superficie. Non è la schiuma tipica del cappuccio, quella tipo " mi fa un latte schiumato, per favore!", no. E' una schiuma che sa tanto di chimico, alla vista. E allora mi vengono in mente quelle scene alle quali ho assistito tante volte nella cucina dell'ostello. E la protagonista di tale scena è sempre di sesso femminile, appartiene sempre alla fascia di età che va dai venti ai venticinque anni, è sempre, irrimediabilmente inglese.
Cercate di immaginare l'idillio: io ho appena finito di mangiare i miei tortellini, o la mia pasta all'uovo, o più modestamente la mia fetta di carne con contorno di insalata, vado in cucina per lavare le mie stoviglie, e lì vi trovo, con positiva sorpresa, sta fighetta fricchettona che sta occupando il lavabo. La fighetta fricchettona ha le seguenti caratteristiche: caspelli biondi, attaccati alla nuca, chè tanto sta a casa e non è necessario scioglierli per farli vedere al mondo; felpone datato 1992, quello che usava Brenda Walsh nelle prime due serie di Beverly Hills 90210, piercing al naso, che ormai fa talmente parte di sè che la Nostra ha smesso da tempo di cazzaggiarselo con le dita. Porta un paio di pantaloni fuseaux, con i disegnini piccoli, e con buco di ordinanza nell'interno gamba (dovrei scrivere interno coscia, ma sto per scrivere la parola "coscia" più avanti e non è bene ripetermi spesso); ai piedi, solo un paio di calzettoni lanosi e spessi, che visti così sembra che possano sfidare la pioggia con più piglio rispetto ad un paio di stivali a coscia. "Hi", "Hallo", "where're you come from" etc etc. Lei non caga moltissimo, chè sta facendo una cosa che, vedremo, le toglie tante energie nervose; io preferisco osservarla in silenzio, e la nostra conversazione, di solito, finisce lì. Così, mentre cerco di capire se ha un bel culo, se avrà la accortezza di rivolgermi un sorriso, se dorme nella mia stessa stanza, la mia attenzione viene disturbata non da ciò che l'inglesina è, ma da ciò che l'inglesina fa.
Qualunque cosa tocchi, la tocca con i soli pollice e indice di entrambe le mani. Pollice ed indice a pinzetta (dovete leggere la z di pinzetta come la z di zoo o di o zorro, non come la z di zitto, insomma più pindsetta che pintsetta) come se da un momento all'altro dal lavello dovesse uscire fuori un mostro e la ragazza è già pronta per la fuga; la laureata in "tecniche di igiene" mette il sapone direttamente sul piatto o sulla tazza, non sulla spugna; poi bisognerebbe chiamare la scientifica per cercare di capire se realmente la spugna abbia toccato la stoviglia, perchè io non me ne accorgo. Indi, arriva il capolavoro. La nostra eroina, fa passare il piatto sotto il gettito d'acqua per due nanosecondi; sul piatto c'è ancora la stessa quantità di sapone di un qualsiasi schiuma party di Ibiza, e lei, la 'Nzunza (non posso spiegare tutto ciò che scrivo, spero che la parola 'Nzunza risulti onomatopeica) ripone lo stesso piatto nel vano apposito, come se fosse stato lavato e...sciacquato. Ed è ancora pieno zeppo di sapone, se non lo aveste ancora capito. Non c'è bisogno di ulteriori commenti. "Ecco perchè in inghilterra tutto ha il sapore del sapone" mi disse con la sua solita flemma un giorno il mitico Simon.
E allora continuate ad ubriacarvi felici, ad urlare per le strade dell'Impero, continuate a fissare il suolo sotto di voi, care le mie ragazze inglesi Tanto già so che non sposerò mai nessuna di voi, non voglio mica passare la vita a lavare piatti. Di certo non lo faccio fare a voi.

giovedì 16 dicembre 2010

Cuori

Cuori, è di cuori che voglio parlarvi. Non di cervelli, o di piedi; niente dita, pelurie varie, polpacci o fegati. Sporadicamente di muscoli, o sangue, ma soprattutto cuori. Cuori, sparsi nella common room del Backpackers, ognuno al suo posto, ma tanto, si sa, non è un posto definitivamente assegnato. Cuori, come stecchi dello Shangai, catapultati fin quaggiù da chissà quali e quanti posti; cuori appiccicati ai laptop, cuori che si alzano per andare a fumare, cuori intraprendenti, cuori smaniosi, nervosi; cuori in attesa, cuori che non vedono l'ora, o che si godono il relax.
Cuore di Stuart, cuore australiano, cuore forte, che pompa sangue e vigore, che batte come la batteria di Copeland. Cuore di Valentina, cuore grande, pieno, ricolmo, cuore che non si spaventa. Cuore di Sam, ragazza mezzosangue; un po' inglese, un po' sudafricano il suo cuore; cuore talmente lontano dal mio, eppure è qui accanto a me, ne sento quasi il battito.
Cuore di Zoltan, grande come un castello, una grotta che tutti accoglie. Cuore di Dominick, boccheggiante, malato, in fin di vita; cuore circondato dal nastro bianco-rosso, come nei film poliziecschi, "circolare, fatelo respirare"... Cuori, nella fredda Birmingham, riscaldata dal camino, cuore dell'ostello. Cuori che cercano o hanno trovato, cuori non più muscoli, cuori eterei, cuori cangianti e mutevoli, come gli stati d'animo. Cuori freddi, cuori dormienti, cuori oppiacei, cuori rivolti verso mille direzioni.
Cuore di Emma, colorato, cuore materno, cuore che basta a se stesso. Cuore di Ester, eternamente innamorato, giovane, cuore sano. Cuore di Jessica, cuore che spezza altri cuori, cuore impazzito come una palla da squash, che lascia segni sui muri, e per le strade, e per i letti... Cuore di Simon, imperscrutabile, quasi... Cuore di ragazza filippina che mi guarda, mi sorride di un sorriso di cuore. Mille storie milioni di cuori, pensieri verso cuori lontani. Cuori che si aprono e si chiudono, cuori che raccontano la vita. Afflitti, spaesati, fallaci, cuori che si vergognano e cuori dal miracoloso candore; intrappolati o liberi di volare, cuori sotto una bandiera, e cuori che cercano un'identità. Cuori che fanno il loro ingresso spaesati, cuori che comandano sulle menti.
E poi c'è il mio cuore, vilipeso e sopraffatto, ma ancora pieno di cose da dare; cuore che non ha avuto cuore. Cuore che non passa la mano, che cade e si rialza. Cade e si rialza. Cuore, che si vuole rialzare...

domenica 12 dicembre 2010

Una domenica con Dominick

Il senso di tenerezza non impedisce di essere uomini, nel senso virile del termine. Il senso di tenerezza potresti anche non averlo, e qualcuno può instillartelo, o può farti scoprire che ce l'avevi già, ma era latente, non riusciva a palesarsi. Questo è il motivo per il quale sarò sempre grato, nella mia vita, alla Mia Piccola Sciù, che spesso, col suo incedere, ricordava a se stessa e al mondo intero (e anche a me, che ho la fortuna di essere un buon osservatore), che la fortuna che le è capitata di essere sana, amata e compresa, dovrebbe appartenere a tutti. E ogni qual volta si accorgeva che la cosa non è per tutti sempre possibile, si lasciava andare ad uno sfogo di rabbia, accompagnato dalla lacrime di chi non può esprimersi altrimenti. Quello che è accaduto in quei sei anni è chiuso in uno scrigno del mio cuore, e mi capita spesso di attingere da esso i tesori sotto forma di esperienza da mettere in pratica.
In ostello ho conosciuto Dominick; è stato traumatico. Cercavo cinque minuti di collegamento internet senza necessariamente andare in camera a prendere il mio laptop, e visto che c'era il computer della common room acceso, ho pensato che fosse normale approfittarne. Mi siedo, e dopo pochi secondi sto ragazzone mi intima di alzarmi, chè lui stava pagando per usare qual computer... Ok, mi alzo subito, ma non fare così. E' inutile dire che naturalmente con Valentina, la ragazza italiana che lavora qui al Backpackers, non abbiamo perso tempo a prendere di mira sto tipo un po' strano.
Ma ecco che col tempo ho cominciato a conoscere Dominick...e le cose evolvono, cari amici, e cambiano, e fanno crescere, anche alla mia veneranda età.
Dominick viene da Philadelfia, Stati Uniti. Dominick ha ventinove anni ("tueninain man" mi disse un giorno, quando io tentando di indovinare gli dissi che per me era un ventitreenne); lo sguardo perso nel vuoto, non sapresti dire se stia pensando al nulla assoluto o ai mali che affliggono il pianeta. Giaccone lungo di pelle nera che fa pendant con le adidas totalmente monocolore, jeans larghissimi tipici della east coast, camicione oversize; sguardo iperpulito, da americano, occhi azzurri, capelli corti, castani. Quando non conosci la sua storia, ogni suo movimento sembra innocuo, privo di senso. Apre e chiude la sua agenda, e tu pensi che non contenga nulla di importante se non per lo stesso Dominck. Fa un controllo accurato della sua casella di posta elettronica, tenta di parlare con qualcuno al telefono che magari non gli risponde, e ancora tu stai lì a pensare che in fondo si tratta di un coglionazzo. Mannaggia alla subcultura tipica di noi provinciali del suditalia.
Poi, qualche giorno fa un gruppo di ragazze giovani e belle e francesi e sorridenti e apparentemente disponibili (ma questo si vedrà in futuro) mi invita per un piccolo party a casa di una di esse. Per andare bisogna prendere l'autobus, andare un po' fuori dai luoghi quotidiani, non si sa che ora si farà; però io voglio andare. Chiedo alla padrona di casa se posso portare un amico, chè mi secca non poco rientrare tardi da solo, e penso di portare con me Stuart, l'australiano figagnone. Tanto, penso, non c'è pericolo che se le prenda tutte lui, le francesi sono talmente tante che possiamo fare una bella lottizzazione italo-australiana. Torno a casa, e incontro Dominck, al quale chiedo subito dove sia Stuart. "Ha lasciato l'ostello stamattina, man" mi risponde. Allora prendo la palla al balzo così, istintivamente, e gli chiedo se vuole venire con me a sto party, "ci sono tante ragazze", cerco di allettarlo. Lui in un primo momento fa spallucce, mi dice cha ha dare fare, che l'indomani deve alzarsi presto, insomma cerca scusa per non venire. Io penso che gliel'ho detto e cho fatto il mio dovere di brava persona, ora sta a lui. Così mi metto a dormire un po'. Dopo quindici minuti Dominick mi sveglia e mi chiede a che ora è l'appuntamento con le ragazze. "Allora l'antifona ti è piaciuta" penso io, beffardo. Alle nove e quindici di un venerdi sera freddo e brummie, io e il taciturno Dominck camminiamo per le strade di Birmingham, direzione le palle del Toro di New Street. Lui timidamente comincia a dirmi che è stato in Italia, a Venezia, a Florence, a Roma, dove ha visto la "Sistina Chapel". Poi, arrivati sul luogo convenuto, in attesa di Sarah che ha appena mandato un sms con su scritto che ritarderà un poco (le ragazze sono uguali da tutte le parti del mondo, quando si tratta di appuntamenti e di puntualità) ecco che i discorsi tra me e il ragazzo di Philadelfia scivolano inesorabilmente sul personale. E allora Dominick prende forma in me; e la sua natura bidimensionale lascia spazio ad un uomo, alla sua storia, alle sue sofferenze. Scopro che è stato sposato, con una ragazza orientale, della quale è ancora palesemente innamorato, ne porta una foto con sè. Ma il mondo di Dominick mi si apre del tutto, quando, alla domanda "hai figli?", lui abbassa lo sguardo, e la sua espressione orribilmente monocorde, rivela la più grande tristezza che un essere umano possa provare. Mi dice che sì, c'ha un figlio che compirà sei anni tra due mesi, perchè solo un padre ha l'accortezza di essere così doviziosamente preciso... Poi i suoi occhi si abbassano ancora di più, quasi piange e mi dice:" I MISS HIM". Che pianga pure, penso, se devo essere spettatore di tale straziante spettacolo, vuol dire che Qualcuno o Qaulcosa mi ci ha messo di fronte. E allora ho pensato che il senso di tenerezza non mi ha abbandonato, ho pensato che se ci fosse stata Sciù avrebbe fatto fatica a non abbracciare sto ragazzone che ci ricorda che nulla è per caso, che se adotti un'espressione un motivo ci sarà, se sei apparentemente assente, forse, è perchè non vedi tuo figlio, colui che ti ha "cambiato la vita", da tre mesi; che se te ne stai per conto tuo dentro una casa piena di ragazze pronte a nuove esperienze la cagione c'è, e non vi è alcun bisogno di farlo sapere a tutti; le intime tribolazioni, a volte, sono talmente visibili che non ce ne accorgiamo neanche. E allora dobbiamo approfittare dell'insegnamento di Sciù, se abbiamo avuto la fortuna di passare con Lei sei anni strepitosi.
Oggi è domenica, e Dominick, non sapendo che scrivo di lui, mi viene a cercare, mi chiede se oggi pomeriggio lavoro. E adesso so che ha bisogno di non restare da solo, di non pensare che gli manca suo figlio. Lavoro, cazzo! E lo porterei con me, giusto per provare a tramutare in sonore risate quegli sporadici, tristi, quasi imperscrutabili, rari sorrisi.

martedì 7 dicembre 2010

Cavalleria Rustica

La lontananza, ma che bella invenzione! Anche se a volte mi prende quella strana malinconia, tipo voler andare a giocare a poker da Christian, o farmi una bella chiaccherata (cioè parla solo lei, e sempre della stessa cosa) con la mia Valeria. Tant'è! Potenza di Skype, a volte ci riesco a rientrare in camera di Chirstian, poi Giusy guarda dentro la webcam e io, con tanto affetto sia chiaro, le mostro il dito medio... Ma credo di potermelo permettere, dopo più di vent'anni. Poi ci sono gli "scambi" di opinione con la succitata Valeria, la quale, però, qualche giorno fa mi ha dato CONTEZZA (a qualcuno non piace che io usi spesso la parola CONTEZZA, quindi in barba a tutte le regole di netichetta la urlo con Sua Maestà il Tasto Maiuscole)di un fatto assai singolare che è capitato nella mia città qualche giorno fa.
Andiamo per gradi. Cito wikipedia, cioè faccio copia-incolla, ma la parola "cito" fa più figo: Il cavalierato è una onorificenza in uso in molti ordinamenti, con la quale si insignisce il destinatario del titolo onorifico di cavaliere. Micacazzi!!!
Onoreficenza, titolo, onorifico, quante belle parole, per non parlare del verbo insignire, che non so neanche dove ha gli accenti, ma mi sembra una gran cosa, a voi non pare? Ebbene, durante una delle mie ultime avventurose conversazioni internaute con la bella Valeria cosa vi vengo a sapere? Che Catania si è autocelebrata, e ha distribuito titoli come lattughe al mercato ortofrutticolo alle 6 del mattino... Finalmente, aggiungo io dalla lontana terra di Albione. Però mi faccio subito una domanda: dove stavano i catanesi?
Ok non scherziamo, oggi voglio essere iperpolemico, e vorrei tanto togliermi questi faraglioni che ho nella scarpa e che mi infastidiscono un pocopochino. Hanno dato il titolo di Cavaliere a Michela G., una donna che non ti saluta quando ti vede. Io immagino che un cavaliere debba tenere un comportamento probo, un'andatura leale, debba emergere in codesta persona il dato inconfutabile della rettitudine. "Buonasera" scandivo perbenino io all'ingresso degli studi radio-televisivi, e il mio saluto si perdeva in un'eco impareggiabile, e poi toco toc toc, rumore di tacchi andanti...
E che dire dell'onoreficenza impartita al nostro Umberto T.? Prono e asservito? Noooo! Pavido e donabbondesco? E perchè mai. Ce le ricordiamo tutti le sue incalzanti domande durante le funamboliche interviste a Issintaco (una volta Catania aveva 'O Sindaco, L'Uomo del Mare, oggi ha Issintaco, con la T); fuoco e fiamme in quelle discussioni senza fine. Pare che Ron Howard, per il suo Frost/Nixon si sia ispirato proprio alle interviste di Umberto T. a Issintaco. E poi, onoreficenza e titolo da appendere al muro anche per Salvo L. R., che tanto ha fatto per la città dell'elefante. Well I wonder to myself: erano tutti d'accordo? L'hanno fatto alla luce del sole in pompa magna o hanno approfittato del buio della sera, quando i lampioni della città non illuminano perchè quella città è ancora in the dark, complice qualche bolletta energetica non pagata? Oppure hanno utilizzato come sfondo la splendida cornice delle macerie di Piazza Europa, con la povera Madonnina che si è salvata dalla colata, sì, ma non è riuscita a sottrarsi alle intemperie del vizio che ha l'uomo di voler sopraffare tutto e tutti? Fuori dal luogo convenuto c'erano i posteggiatori abusivi? Il tanto vituperato Calcio Catania, messo alla berlina sottobanco perchè di dire le cose alla luce del sole non se ne parla neanche, e che rappresenta uno dei pochi miracoli veri a cui ho avuto il piacere di assistere in vita mia (rappresentare in serie A una città da torneo salesiano, con tutto il rispetto per il torneo salesiano), è stato invitato alla "cerimonia"? E poi, ancora, visto che mi è preso lo "sciddico": perchè non dare il nobel per la letteratura a Brigantoni, considerando il fatto che lui sì che ben ci rappresenta financo all'estero? Se questo blog non fosse un blog, ma fosse un giornale vero, si aprirebbe una polemica senza fine, e a me farebbe anche piacere, perchè sarebbe qualcosa di democratico. Ma l'idea muore in partenza come un cucciolo che non potrà essere svezzato. Nessun giornale in città oltre quello che c'è già.
Che tristezza infinita mi fa questa catanietta che fa il verso all'italietta, che ormai ha cessato di essere il luogo cha ha dato i natali a Dante, a Leonardo, a Marconi, e che oggi, io ne sono testimone, è vittima del vitupero proveniente da tutte le parti del mondo. Mi domando cosa penserebbe Gabriello Carnazza, e cosa avrebbero da dire nell'ordine Luigi Capuana, Giovanni Verga, Filippo Eredia, Carmelina Naselli, Mario Rapisardi, Gesualdo Bufalino. Mi domando cosa penserebbe di tutto ciò Vincenzo Bellini, se la cosa lo ispirerebbe in qualche modo per una bella opera drammatica, lui che riposa in pace dalle parti di Parigi.
Così, mentre le urla strazianti di dolore di coloro che non hanno un futuro arrivano fin qui da me che un futuro lo sto cercando altrove, mentre il cielo sopra l'Etna è scuro e pesto, mentre Issintaco si ostina a dire che "le cose stanno migliorando, e non abbiamo bisogno di allarmismi" col suo accento Cambridge, mentre le buche per le strade fagocitano voracemente il cammino incessante dei catanesi verso il nulla, allegoria perfetta del "Buco" economico che renderà la città del Liotro una città fantasma, mentre fare i "precari" diventa quasi una larga aspirazione, mentre la città scivola via inesorabimente a sud del Meditarraneo, un gruppo di buontemponi trova il coraggio di autocelebrarsi mettendo a ferro e fuoco il significato stesso delle parole, e facendolo in barba a tutto ciò che di drammatico sta avvenendo.
La mia Speranza è che finalmente i catanesi si alzino e comincino a capire che riprendersi la città non sarebbe un reato, ma un atto dovuto. Alla prossima.

giovedì 2 dicembre 2010

C'è modo e Tony

Cerco di fare un ranking speciale dei componenti la cucina del Pasta di Piazza, il dolciastro ristorante nel quale lavoro. Da chi conta di più a me. Dunque vediamo: al primo posto c'è sicuramente Nas, lo Chef algerino. Io vorrei spiegargli che si chiama come il gruppo dei carabinieri che si occupa delle contraffazioni alimentari, ma il mio inglese è ancora in downloading. A pari merito, al secondo posto, ci sono Harron e Hassan, quest'ultimo è arrivato da poco, è antipacissimo, ma siccome sa armeggiare con le padelle, e in realtà il suo è un ritorno alla base, ha già scalato le posizioni. Terzo Fateh, che mi sta tanto sul cazzo perchè è un Capataz, e io dalla notte dei tempi odio i Capataz se non si occupano di cose importanti, tipo fare gli ingegneri alla Nasa o Amministrare il Barcelona Football Club. Poi c'è il Mitico Armrin, o Armin, o Amir, il suo non è proprio un nome, è piuttosto una regola matematica: cambiando l'ordine o il numero delle lettere presenti nel passaporto, il risultato non cambia. A un tiro di schioppo da Armin, l'ultimo anello della catena prima che la stessa si fermi al sottoscritto è Tony. In realtà dopo di me ci sarebbe Henry, che non è un giocatore della nazionale francese, ma un ragazzino ventunenne lituano bellissimo, che se un giorno dovesse capitare in qualche spiaggia catanese ai primi di luglio nei giorni feriali, le ragazzine in vacanza se lo mangiano e forse lasciano le ciglia sulla sabbia... Ma io è di Tony che voglio parlarvi oggi.
Tony, evidentemente, non vedeva l'ora che arrivassi io. Prima era l'ultimo anello, adesso, racconterà alla moglie prima di addormentarsi, c'è Fabio Fabio Fabio. Non fa altro che nominare il mio nome, tutto il santo giorno, come se volesse esorcizzare una mia eventuale scomparsa. Ma ci pensate! Se io sparissi lui tornerebbe l'ultimo della cucina. Lutto!
Tony ha 34 anni, ne dimostra 56, e ha il senso dell'umorismo di un dodicenne scemo. E lo riversa tutto su di me. Sembra Licciardello.
Piccolo escursus per fare capire al 98% di voi chi è Licciardello:

Licciardello è un mio vecchio compagno di liceo che aveva, tra i tanti, un difetto madornale: faceva il conto delle interrogazioni. Ne risultava che ogni mattina, all'ingresso in aula, rincoglioniti dal sonno, massacrati dai soliti sensi di colpa per non aver studiato, dilaniati dall'adolescenza, vilipesi dai brufoli, umiliati dalla goffagine dei quindici anni, lui, Licciardello, si presentava con qulle faccia di culo e diceva:"Oggi t'azzicca!!!" (tr. "oggi l'insegnante testerà la tua preparazione sulle lezioni trattate in precedenza, e se risulterai impreparato lo stesso prenderà un pezzo di ferro, lo impugnerà con uno specialissimo guanto di amianto, lo riscalderà ben bene dentro la fornace che usava Stakanov in miniera, lo inserirà a forza nel tuo retto, indi proverà, in quella posizione, il movimento di polso degli ultimi dieci tennisti in testa alle classifiche mondiali, tra i quali citiaqmo Jimmy Connors, Ivan Lendl e il temutissimo, in questo caso, per via del rovescio bimane, Bjorn Borg"). Capirete bene che Licciardello un giorno fu apostrofato dal sottoscritto con un "'n ci scassari a minchia" (la traduzioni qui è autobannata, ma so che avete perfettamente capito il senso della frase) prima che potesse dirmi per l'ennesima volta la frase suddetta.

Ecco, Tony è un po' come Licciardello, si accontenta di poco. Ma andiamo per gradi.
Conviene dire subito che Tony sembra Paolo Villaggio alle prime apparizioni in tv. Io, quando non indossiamo la divisa da cucina che tanto democraticamente ci rende tutti uguali, me lo immagino con i pantaloni della festa domenicale, il maglione a rombi, e i mocassini verniciati. Sembra uscito dagli anni sessanta; non ce lo fai capace di mettersi al computer e consultare il suo twitter profile. Lo guardo e ho come l'impressione che a casa abbia ancora il televisore in bianco e nero, quello con le manopole, e che solo per lui i programmi vengano annunciati ancora da Nicoletta Orsomando. Quando il capo si fa vedere al ristorante lui assume l'aria di chi sa che sta per venire il terremoto; comincia a correre, preoccupatissimo, per tutta la cucina, sembra quasi che stia per pregare che non gli capiti nulla. A volte resto sorpreso, perchè quando il nostro boss è in cucina con noi, Tony incontra con i suoi i miei occhi, e con lo sguardo mi dice:"Fabio, speriamo che non ci succeda niente". Ora, sappiatelo, il capo, Ronnie, è la persona più tranquilla e buona del mondo, e non c'è niente che non lo faccia ridere e scherzare con noi in cucina, anche in situazioni di notevole pressione. Insomma, Tony esagera.
Tony ha un'altra particolarità: puzza. Credo che l'ultima volta che il suo corpo e il Pino Silvestre si siano incontrati, quest'ultimo si chiamava ancora Bagnoschiuma Vidal, e in tv davano la reclame col cavallo bianco. Sì, l'ultima volta che Tony si è lavato è stato per festeggiare la vittoria di Ronald Reagan alle primarie repubblicane del 1979. Il Nostro Tony emana un odore (?) che possiamo definire una miscellanea tra un formaggio egiziano, un peto di gnu e il dopobarba...di Shreck. Insomma, in confronto a Tony, le fogne di Kathmandu sono considerate dagli esperti un posto salubre. Io ormai c'ho fatto il naso.
Ma la vera particolarità di Tony, forse il motivo stesso per cui è venuto al mondo, è che deve rompermi i coglioni. E' più forte di lui, lo deve fare. Deve continuamente farmi quelle battutine stronze, tipo:"Fabio, are you gay?", oppure "Fabio, today Ferrari o Maserati?", malcelando la sua idiosincrasia per la mia proverbiale lentezza nel fare le cose. Il problema è che fa tutto ciò per avere uno spazio nel cuore degli chef. Lui deve scalare la gerarchia di questo mondo di primati che è la cucina del Pasta di Piazza, come se non esistesse altro. E allora vai con i "move your ass, Fabio" e sorrisino nei confronti di Nas. Poi c'è quando vorrebbe tanto farmi incazzare perilsemplicegustodì. Allora, dopo essersi informato sulle vicende calcistiche del Catania, parte all'attacco con i suoi pronostici:"Fabio (e io già so che sta per dirmi qualcosa di assolutamente stupido), Sunday Catania 0 Bari 3!!!" e subito la risatina e la ricerca di approvazione...
In altri tempi ci avrei messo sei minuti a trovare il motivo per una bella litigata con uno come Tony...ma grazie ai sei anni passati con Sciù, che mi ha insegnato le buone maniere, udite udite, no. Non mi infastidisce più di tanto. Anzi, quasi lo ammiro, o in qualche modo lo invidio. Eh sì, come si fa a non invidiare, di tanto in tanto, uno che si è posto degli obiettivi minimi, e su quelli basa la propria vita? Che male c'è? Insomma, chi lo ha detto che i buoni principi debbano fondarsi per forza di cose sulle aspirazioni che noi tutti abbiamo sentenziato come "oggettivamente" di alti valori? La democrazia è anche questa: lasciare che un ragazzotto albanese metta radici in una cucina di un ristorante di Birmingham, e provi con tutte le sue forze a scalare i gradoni che lo porteranno, un giorno, lì, tra i fornelli a gridare comandamenti e sacramenti, chè sono io Lo Chef!
E allora, caro Tony, anche se il tuo sport preferito è rompermi i coglioni, io ti faccio tanti auguri, ti supporto, spero che tutto ti vada bene. In fondo Armin è solo a un tiro di schioppo...