giovedì 26 maggio 2011

Mister P. e i Cento Colpi di Minchia

Megalomani! Ce ne sono stati tanti nella mia vita. C'è stato chi ha sostenuto di fare viaggi tantrici (si scriverà così?), chi ha sostenuto che un proprio amico, nel giro di un'estate, si è ritirato di sette centimetri, chi ha sostenuto che il padre di Daniele Silvestri gli ha commissionato la stesura di una sceneggiatura, non sapendo che in quel momento il padre di Daniele Silvestri era morto da cinque anni. Megalomani, sofferenti di disturbi che superano i limiti della semplice minchiata. Chi di noi non ha mai detto cazzate? Ma c'è una sottile differenza tra il dire cazzate ogni tanto e il fondare la propria (non) esistenza sulla base di fatti e cose non solo mai realmente accaduti, ma perfino inspiegabili fisicamente. Qui in ostello c'è un coglione che ormai ha perso la bussola, e dire fandonie smaccatamente e palesemente e apoditticamente (finalmente l'ho scritto) fuori dalla realtà è una situazione che ha sforato nella sua vita. Come dire, ha perso di vista la linea borderline tra ciò che è reale (ben poco) e ciò che quotidianamente inventa (quasi tutto). Non voglio essere oggetto di querela, quindi chiameremo il tipo Signor P. Eter, e diremo solo che viene da un paese dell'Est europeo; ma non dall'Ungheria o dalla Romania. Vi do un altro indizio: la capitale del paese da cui viene il Signor P. Eter si chiama con un nome di donna; e visto che a nessuno di voi, cari amici miei lettori (a meno che tra di voi non ci sia David Beckham) verrà mai in mente di chiamare vostra figlia Bratislava, il cerchio si chiude inesorabilmente. Il Signor P. Eter è arrivato qui a Brummolandia alla fine del mese di dicembre dello scorso anno, con l'unica cosa certa di cui poteva vantarsi: una fidanzata molto assai gnocca. Naturalmente lei lo ha già lasciato, e lui adesso è rimasto solo. Ma cerchiamo di andare per gradi. Cerchiamo di fare un elenco delle minchiate con le quali il suddetto ha allietato la vita di noi avventori del Backpackers Hostel. Innanzitutto la storia dei suoi denti. Ora, amici lettori, dovete sapere che la dentatura del Signor P. Eter ricorda quella di un 'Epifania; non nel senso di una cosa gioiosa, o festosa, ma proprio della Befana. Adesso starete sicuramente pensando che sono uno stronzo, che mi diverte ridere delle disgrazie altrui. Beh, in questo caso, un po' sì, ma voglio che sappiate che vi dico questo per un motivo ben preciso: le genesi della sua disastrata dentatura, secondo il nostro Pallonaro, sono state innumerevoli. Uso costante di cocaina, rissa epica con otto russi, alla fine della quale il Signor P. Eter ha avuto la meglio; gambizzazione mafiosa per aver sottratto denaro sporco dalle casse dell'organizzazione, incidente sulla propria Ferrari...volete che continui? Il nostro primo approccio fu emblematico. Sto John Nash dei nostri giorni (premio Nobel per l'economia), quando ha saputo che sono siciliano, ha fatto la semplice equazione: siciliano uguale mafioso. Indi ha pensato che io fossi, per legge, un picciotto di Cosa Nostra. Come tutti i pallonari che si rispettino, P. Eter non può essere da meno: “anche io ho lavorato per la mafia”- come se gli avessi avessi detto che io sì- “ rompevo le nocchie dei negozianti che non pagavano il pizzo”. Interdetto, rimasi interdetto. Non le devi cercare le sue minchiate, esse arrivano in qualunque momento. Infatti, il maleducato, interviene anche se la cosa non è richiesta, in qualsivoglia conversazione, e lo fa mettendo sul campo di battaglia le armi di plastica: le minchiate. Una volta mi trovai a dire ad un ragazzo iraniano che casa mia, ad Acitrezza, si trova ad un minuto di passeggiata dal mare. “Casa mia si trova a trenta secondi dal Mar Nero”... A capodanno, bontà mia, ho passato la notte con una bellissima ragazza colombiana; lui ha saputo. E nonostante fosse con la sua molto assai gnocca fidanzata...”io ho trombato con una ragazza americana”. Per inciso, non c'era nessuna ragazza americana in ostello in quei giorni. Cucino un piatto di pasta? La pasta delle mie parti è migliore. Si va in un locale a bere qualcosa? “Nella mia città con un pound entri in discoteca, puoi fumare dentro, ti danno una bottiglia di Moet et Chandon, e due tavoli tutti per te”, sì, e tra un po' viene una e ti fa un bocchino, aggiungerei io. Il Signor P. Eter poteva combinarla molto grossa quando mi disse che lui ha lavorato per decenni nella ristorazione e che poteva essere utile nel ristorante in cui lavoro. Mi diede il suo curriculum, e io gli promisi che lo avrei dato al mio boss. Mi bastò dare un'occhiata per decidere che mai avrei dato il suddetto c.v. a Ronnie. In quel curriculum, amici miei diletti, salta all'occhio una cosa macroscopica. Nato nel 1988, il Signor P. Eter nel 2003 ha ricoperto il ruolo di Supervisor in un'azienda di costruzione, con 65 operai ai suoi comandi. Ho già detto che rimasi interdetto? Ma la cosa bestiale (sì proprio da bestia) è che lui lavora in ostello, fa le pulizie, e non sa tenere in mano un martello. Come faceva un quindicenne, coi denti da Befana, a tenere sotto controllo 65 operai dell'est europeo? Naturalmente lo ripagai con la stessa moneta: con una cazzata. Inventai che il mio boss aveva letto il curriculum e mi aveva cazziato. “Tomorrow my father send me money”, questa è la sua parola d'ordine. A parte il fatto che nessuno glielo ha mai chiesto, giuro, ma non si accorge di quanto sia scorretto giocare così col significato delle parole? Novello, e involontario Antonio De Curtis (colui che sosteneva di non lavarsi mai perchè sempre pulito) il Signor P. Eter dice che “domani” suo padre, “ricchissimo”, gli manderà dei soldi. Così, se glielo ricordi, lui potrà sempre risponderti “ho detto domani”, e con acume sbroglia la matassa. Sua nonna è morta già una quindicina di volte, e “la settimana prossima torno nel mio paese per i funerali”. Immagino la puzza della camera ardente. Un giorno mi fece notare la sua giacca tre quarti di pelle nera, asserendo che lui sì, veste in pieno italian style. Io gli risposi che quello era italian style negli anni settanta. Sfido, sembrava uscito da un episodio di Romanzo Criminale- la serie. “Fabio, please, give me a cigarette, i pay you”- questa l'ha detta centinaia di volte, fino a quando io, che sono una furbissima lince, e a volte anche un po' stronzo, gli ho detto:”fa' 'na cosa, questa te la do, domani portami una pacchetto intero”. Da quel giorno non mi ha più chiesto sigarette. Megalomani, vanno prese a piccole dosi, e soprattutto non devono entrare nella tua vita, perchè lì poi sono dolori. Io non c'ho voglia di usare la spicciola psicologia inversa che si usa con i bambini, tipo ti chiedo di fare una cosa sapendo che tu farai il contrario, proprio per raggiungere l'obiettivo di farti fare il contrario di ciò che ti ho chiesto. Cazzo, fa girare la testa solo a pensarlo. Va bene, ogni tanto, sentire la storia che hai un passato da Gigolo a cinquemila sterline a notte, va bene sentirti dire che ieri hai soddisfatto tre donne croate; va benissimo sapere che nella tua città stai costruendo un albergo a cinque stelle, o che tuo fratello è in prigione perchè ha mandato in coma uno; e ancora, va bene divertirsi quando parli delle tue tre bmw che tieni in garage, mentre qui pulisci il pavimento di un ostello (chi sei? Robert De Niro in Mission che espia una qualche colpa?), e ancora che “tomorrow my father send me money”... ma quando, con le tue malefatte entri nella mia vita e cerchi arbitrariamente di rovinarla, non riuscendoci perchè nessuno ti da credito, io divento una iena. E allora tieniti le tue minchiate, Signor P. Eter, ma stai lontano da me, perchè una cosa concreta e vera potresti raccontarla un giorno di questi: di quando in Inghilterra Fabio mi mandò APODITTICAMENTE a Fanculo.

giovedì 19 maggio 2011

Io Non Resisto

È la settimana degli addii; la settimana del turn-over, perchè solo io riesco ad essere ottimista con regolarità. La settimana degli addii, o degli arrivederci, dei saluti. La settimana degli ultimi sguardi, degli abbracci, delle carezze, sporadicamente dei “non ti dimenticherò”. Antonella si è stufata, troppe angherie secondo i suoi gusti, addirittura soprusi, in quella sala del ristorante in cui basterebbe fare come faccio io: cantare, e pensare che il mondo è anche degli stupidi che non sanno vivere. Antonella ha invece deciso che tutto è saturo, arrivederci e grazie, magari alla prossima; e io resto l'unico italiano che lavora in un ristorante italiano. Chiederò un premio per questo. Armin ha fatto la stessa scelta, o magari l'aveva già fatta tanto tempo fa; il fatto è che dentro quella cucina la sua gentilezza made in Iran mi mancherà come l'aria, come l'acqua. La settimana degli addii, delle strade che si dividono, delle curve pericolosissime, degli scossoni; metti la prima e riparti. Da qualche altra parte, riparti; magari ti consiglio una buona musica da ascoltare durante il viaggio, un buon pezzo dei Karate, o La Nona di Beethoven... La settimana degli addii, piccole coltellate, piccole ferite che aspetti solo che passino, così diventano cicatrici da far vedere agli amici, da ammirare davanti allo specchio. Ester, anche lei mi ha dato l'ultimo abbraccio, ultimo abbraccio accompagnato dal solito memorabile verso (“oooohhhhh”); Ester ha scelto l'Australia, ha scelto l'Amore, ha scelto la sua vita, non sapendo che anche qui per lei è stata vita; e mi mancherà, e facendolo mi ricorderà la mia umana natura. Gli addii, non è vero che sono così malvagi, essi sono Esistenza, assegnano ruoli, stratificano, nel senso buono del termine. Quindi dovrei in qualche modo essere grato a questa benedetta settimana degli addii; alla sua capacità di indirizzarmi verso nuovi punti di vista; punti di vista propri, fisici, terreni. Anche Tonno è andato via, ma lui per dire addio ha premuto il tasto della sordina; si è allontanato con passo felpato, come fosse un topo di appartamento, con il tutone nero, con la faccia nascosta, con lo sguardo rivolto in un'altra direzione. Povero Tonno, non avere il minimo senso della riconoscenza reca con sé la più grande povertà che un uomo possa detenere; è come se si camminasse sciancati, o senza un braccio... che delusione scoprire che nella settimana degli addii c'è spazio anche per chi cerca di sfuggire alla propria coscienza. L'addio è una belva feroce, devi armarti, talvolta, di frusta e sedia da domatore per tenerlo buono; può perfino capitare che dalla filodiffusione esca fuori una di quelle canzoni melense che marchieranno a vita quel momento. Ma poi ci fai l'abitudine; ma poi l'abitudine non ce la vuoi fare, perchè tutti i sentimenti vanno vissuti con trasporto, anche gli addii. La settimana degli addii, delle ultime occhiate, delle fotografie mentali, “ti ricorderò così”... Alicia e Sarah, le mie alunne di italiano, andranno via pure loro, dopo feste della schiuma, nottate alcooliche, ed eterne parodie della vita liceale. Hanno vent'anni Alicia e Sarah, e ho come l'impressione che dopo l'anno brummo cominceranno a diventare adulte, e sapranno qualche parola di italiano in più. E io resterò qui, abbrancato al mio punto di osservazione, chè se qualcuno prova a spostarmi divento una belva. Anche Julia ha detto addio. Il clima è quello che si respira in aeroporto, “dlin dlon, è in partenza la settimana degli addii, recarsi al gate tal dei tali ”. La settimana degli addii, l'addio straziato che ho rivolto a Klaudia, che ha fatto un repentino giro, e da amante occasionale è passata ad essere amica in cerca di aiuto, bambina da proteggere, donna che deve da sola trovare la sua strada. Klaudia e la sua bellezza dovranno trovare la forza di perdonarmi... Questa, amici cari, è la settimana degli addii; non degli unici addii, ce ne saranno altri, ma questa verrà ricordata come tale, come un punto alla fine del capitolo. Si cambia pagina. Non lo scorgete l'entusiasmo che ne scaturisce? Ma sì, basta guardare dentro la settimana degli addii per capirlo; sembra un lifting, una cura rigeneratrice. Chi vuole può rimanere, dentro il cuore, sì, dentro il cuore. Mike, fratello metà canadese e metà polacco, dice addio anche lui; lui che ha avuto la fortuna di litigare con me più volte, chè io do 'sta confidenza solo a chi realmente merita... La settimana degli addii è grigia e blu, è un punto concentrico dal quale partono corsi che si snodano in tutte le direzioni; i panorami si diversificano. Nuove foglie, nuovi tipi di asfalto... Addii grandi e immensi che si mescolano agli addii di tutti i giorni, quelli dell'ostello, quelli ai quali non fai più caso. Macroaddii, di coloro che prima di andare lasciano qualcosa da mettere nel tuo scrigno personale. Io no, io non resisto, e resto qui...

venerdì 13 maggio 2011

Pioggerellina Triste

Tanti amici, tante conoscenze, un sacco di cose da fare. Un trasloco, il Villa che pareggia in casa, il treno, Tonno e il suo locale preferito... Il grado di confidenza è avanzato con tutti; si balla e ci si racconta le cose, i trascorsi, le vite. Tonno beve un'altra birra, Matteo c'ha il torcicollo cronico, Seila familiarizza con tutti; e c'è Montse, la nuova coinquilina di Seila. Montse ha un'aria seria, poi manda giù due bicchieri di vino bianco e diventa la simpatia fatta persona. Niente di nuovo sotto il cielo Brummo. Poi comincia a piovere, quella pioggerellina fatta di spilli che ti colpiscono le sopracciglia, le gote, le nocchie delle mani; gli spilli ti infastidiscono quando si intrufolano attraverso il bavero del giubbotto e ti bagnano la nuca. Poi arriva Zsuzsi, lei la pioggerellina ce l'ha dentro. Zsuzsi è ungherese di Budapest, e mi ha colpito subito per quella sua aria triste. Zsuzsi che divide l'appartamento con un'altra Susi. Zsuzsi la cui pronuncia del nome è inversamente proporzionale allo spelling. Chissà cos'ha dentro? E chissà perché mi appare così triste... i suoi capelli colorati di rosso, quel rosso cardinale così innaturale. Cos'hai dentro dolce Zsuzsi? Perchè quell'aria costante di tristezza? Perchè quel tentativo maldestro di nasconderla, quell'aria? Come se stessi cercando di arginare una corrente fluviale col solo aiuto delle tue mani? Me lo chiedo ogni volta che la vedo; quando stiamo tutti lì a ballare, a divertirci, e lei se ne sta per un attimo sola coi suoi pensieri, con la sua pioggerellina. Io e Zsuzsi ci siamo ritrovati sotto un ombrello a camminare per Broad Street, con la pioggerellina che ci faceva da cornice. Abbiamo parlato di cinema: a Lei, che è tanto taciturna, piace Tarantino, la forza dei suoi dialoghi, l'impareggiabile folgorazione delle sue trovate lessicali; a me, che ogni tanto sono logorroico, piace Kubrick, l'impeto dell'esperienza visionaria, il lento movimento della macchina da presa, la quasi totale assenza di recitato. Ma eravamo lì, io e Zsuzsi, a parlare un po'. Cosa c'è che ti tormenta? Perchè quella perenne aria triste? Mi faccio troppe domande, lo so. Ma cosa posso farci se la mia vita si espleta osservando la gente? Zsuzsi, la sua pinta di birra, muove appena le gambe mentre tutti gli altri ci diamo ai bagordi, protetti dalla pancia dello Yardbird. Zsuzsi ha a che fare con la sua pioggerellina interna, la sua carnagione chiarissima è opaca, il suo sguardo focalizza il corner più lontano del pub. Poi si ridesta come fosse stata chiamata, e io sto sempre lì a chiedermi il perchè di quell'apparente tristezza. E vorrei coi miei trapassare i suoi occhi; vorrei usare i il mio sguardo come fosse un missile e trapanare il suo, ed entrare dentro. Magari poi comincerei a galleggiare come in assenza di gravità; magari non ci capirei niente, perchè sarebbe tutto criptato; ma che delizia sarebbe dover cercare la chiave per decodificare la genesi della sua aria triste. Un picnic, sdraiati su un prato, “passami una salsiccia”, “chi mi da una sigaretta?”, Ester cerca sul suo i-phone la partita del Barcelona, Carles e Margarida fanno fotografie a raffica, c'è il sole. Poi arriva la pioggerellina, poi arriva Zsuzsi; non ti disturba, ma ti mette dentro la curiosità di sapere della sua tristezza. Mi piacerebbe sederla su un sofà, mi piacerebbe dirle:”forza, comincia, sto qui per te, dimmi cos'hai dentro”. I suoi capelli di un rosso cardinale totalmente innaturale, la sua carnagione chiarissima, la pioggerellina fine e fitta... e poi ancora il suo sguardo puntato lì, nell'angolo più remoto della stanza. Alle feste in casa, nei locali rumorosi dove c'è la musica live, sul prato che ospita i nostri picnic. Pioggerellina che fa il giro del mondo, da Budapest fino a percorrere le strade Brumme. E inebria una comitiva in continua evoluzione che però c'ha in sé degli zoccoli duri. Zsuzsi e la sua aria triste. Mi piacerebbe portarla con me in una delle tante chiese di Birmingham, chessò St Philip, oppure St Paul. Ma non dentro, chè Zsuzsi è ebrea e magari urterei la sua sensibilità; nel parchetto antistante, che poi è anche cimitero; mi piacerebbe sedere su una panchina, mi piacerebbe stenderla e appoggiare la sua testa alle mie gambe. Mi piacerebbe leggerle un libro, un Primo Levi o un Giorgio Bassani. Sì, mi piacerebbe scoprire che la sua aria triste ha la sua genesi in ciò che non conosce. Mi piacerebbe stendere Zsuzsi su una panchina, la sua testa sulle mie gambe, e leggerle Il Giardino dei Finzi-Contini; mi piacerebbe leggerle di quando l'amore tra Micol e l'Io Narrante non ha un futuro. E mi piacerebbe vedere confondersi la pioggerellina che Zsuzsi ha dentro con le lacrime liberatorie di una tristezza che finalmente va via...

giovedì 5 maggio 2011

Nightswimming

Dovremmo ascoltare Nightswimming di R.E.M. per capire bene tutto ciò. Ma io so che tu capisci, o capiresti, se solo leggessi ogni tanto il mio blog. Ascoltare Nightswimming, che dura poco più di quattro minuti, un nulla del nulla rispetto all'eternità della nostra amicizia. C'è un pianoforte che ci indirizza, traccia la strada dei ricordi. C'eravamo. Ed eravamo tanti, alla fine eravamo messi bene. C'eravamo noi, allettati dai nostri quindici anni, la tua moto, le mie scarpe Adidas, il mio ciuffo; e c'erano le foglie verdi, l'autunno soleggiato della Sicilia Orientale. “Questa va ballata”- un giubbotto bianco rubato in una discoteca. C'eravamo con i nostri vent'anni, quelli più piccoli di noi cominciavano a fare esperienze che noi rifuggivamo, perchè tanto a noi bastava quello che avevamo; i nostri dolori, il tuo più grande del mio. Nightswimming, come quella notte coi go-cart, e poi, Nightswimming, R.E.M., eravamo in cinque. Tu, io, Coppolone, Giovanni che portava la macchina e Alessio, che era il più giovane e il più stronzo. Un bagno di mezzanotte, inconsapevoli che i nostri futuri si sarebbero aperti a ventaglio, e ci avrebbero disuniti, neanche tanto poi. Quando mi capita qualcosa qui, in questa città rock che a te piacerebbe tanto, che ti metterebbe quel pizzico di entusiasmo che sappiamo scorgere solo noi che ti conosciamo come si deve, penso subito al modo in cui raccontartelo. C'eravamo, Christian, in quei lunghi pomeriggi nella tua stanza, a mangiare biscotti fatti in casa, a sorseggiare succhi di frutta, a fumare un intero pacchetto da dieci di Marlboro, a imparare che al tg4 Fede cominciava già allora a sparare cazzate. C'eravamo, quando vincevamo a mani basse i tornei di calcetto, troppo forti. C'eravamo tutti, tu, io, Giovanni, e gli altri. E anche Sergio, che poi se n' andato, perchè la Leucemia è stata chirurgica, e ha consegnato ai nostri ricordi l'unico di noi che quando si alzava dal letto al mattino era felice di vivere...parole tue. C'ero, sempre, davanti alla tua libreria, nel mio rito liturgico di periziare tutti i libri ogni volta che entravo; di tanto in tanto, prendevo Conversazione in Sicilia di Vittorini e leggevo la prima pagina: “io ero in quel tempo in preda ad astratti furori...”. Già, Chiorochiò, i nostri astratti furori; che però se la davano a gambe ogni volta che ci mettevamo davanti al panorama del balcone della stanza di Giusi, in silenzio, per ore, ascoltando Nightswimming, magari. Il bagno di mezzanotte, quello fatto in piscina, quando era semplice farlo. “Ti do io un costume, se non ce l'hai”, un tuffo, una sigaretta, il tentativo di scavare dentro l'infinito di quel momento unico, chè non mancava niente, cazzo! C'eravamo, ed eravamo stupendi, coi nostri tornei di Risiko, ci chiamavamo “Cesso” per nottate intere. Tiralosi si incorvava sempre, allegorico... C'eravamo tutti, con i nostri vent'anni perenni, con Ugo imbattibile alla Play, con i Mondiali di Calcio: quando Baggio fece goal alla Nigeria tu guardasti me in faccia, e io vidi un ragazzo pronto a buttare via tanto di quel rancore approfittando del pareggio del Divin Codino. C'eravamo, Amico Mio, durante quel clamoroso viaggio in Cecoslovacchia, quando rimanemmo soli e ci prendemmo a pallonate nel campetto della scuola. Quando non volemmo entrare in quella chiesa per quel funerale c'eravamo, e forse in quel momento diventammo fratelli. E la mia mamma lo capì, che non passava volta in cui venivi senza che lei ti preparasse quei cazzo di crostini di pane di cui sei sempre stato ghiotto. C'eravamo, mentre un esercito di persone, le più disparate, è entrato ed uscito da quella casa che ci ha accolti come un marsupio di canguro. Io, ad aprire a piacimento il frigo, tu, seduto in poltrona a guardare la Coppa Davis, ad incazzarti ogni volta che Nargiso faceva doppio fallo. È come un bagno di mezzanotte la nostra amicizia unica, unica come tutto ciò che mi è sempre accaduto nella vita; e a volte mi chiedo se tutto ciò non sia stato solo merito tuo. Se oggi sono questo, e credimi mi piaccio nonostante tutto, so che lo devo a tutto ciò che siamo, che siamo stati. Perchè c'eravamo, in quel Nightswimming senza fine che è la nostra amicizia. Buon proseguimento....