lunedì 27 agosto 2012

Per Sempre, Da Sempre

Come il sole di fine settembre, che richiama il pezzo di sotto della tuta, che richiama una doccia calda mattutina, che alle undici diventa focoso come un amante insistente; amante che andrebbe respinto. Come il sole finale, quello di settembre, maniche corte e ai piedi le ciabatte infradito, fresco dappertutto, sonno recuperato, capelli arruffati. La sigaretta buona, la cui cenere viene sparsa sul terrazzo, insieme ai pensieri di una corta giornata che è appena cominciata, e che sta per finire. Il telecomando lanciato distrattamente sul divano del soggiorno, le notizie del telegiornale, la brezza marina che sale da posti reconditi alla vista; il basso numero di giri del motore di una macchina in avvicinamento, motore spento, rumore di sportelli che si aprono e si chiudono. C'è una spesa da portare dentro. Come il sole di settembre, o meglio, come quello dei giorni di fine di settembre, quando l'estate ha già stancato, e ci si alza premurosi e vivi di nuova rinvigorita energia; arriva il suono incantevole di una voce:”A tavolaaaa!”- urla. La sigaretta brucia silenziosa, accompagna innumerevoli pensieri, vicino ai rovi pericolosi del futuro, sfiorando i battuti terreni delle malinconie. Il rumore di stoviglie, di piatti e di bicchieri, di posate sistemate alla rinfusa. “Ma lo vuoi capire che è pronto?!?”- dice raggiungendomi, schierandosi dalla parte dei buoni. Adesso questo non c'è, si è perso su un binario in disuso alla stazione dei ricordi; tu mi mandi messaggi ogni dì, vuoi sapere che sto bene, e poi ne vuoi anche la prova. La verità è che io e te vorremmo toccarci le mani, vorremmo sentire ognuno l'odore dell'altra; vorremmo continuare a vivere quello strano e unico rapporto che si è creato tra noi col tempo, e che è nato quasi un anno prima che io nascessi. Perchè i figli son tutti uguali, ma poi diventano diversi. Mi piace il pensiero che ti so far divertire, che so farti sentire viva col mio essere “impossibile”; mi alletta l'idea di essere arrivato tardi, di essermi posto nell'angolo più remoto di una stanza, pieno di problemi ma scevro di attenzioni. Nessun affidamento si può far di me... Come il sole di settembre, di settembre inoltrato, quando l'acqua di mare è freddissima da accidenti e tu continui a dire che “era una favola”; io protesto e ti tratto fintamente male, mentre osservo i tuoi occhi semichiusi, il piccolo male che ti porti dentro, male benedetto che racconta di quanto sei sensibile, di quanto siamo uguali. Tu non lo sai, ma io, noncurante perchè la noncuranza mi appartiene come tratto distintivo, io ti porto dentro. E ti racconto le cose che mi accadono, anche quelle che non ti racconterei mai, neanche sotto una tortura. Io ti proteggo dagli speciosissimi fatti che sorvolano la mia nuova esistenza, io ti tengo a casa quando non è il caso di uscire, e ti perdono ogni giorno per per non essere qui. Per essere così provinciale, per accorgerti di tutto, per essere stata una scoperta ogni giorno, e poi, per non esserlo stata più. Adesso ci sei, e per sempre, da sempre. Ad ogni sguardo buttato sul disordine della mia stanza, ad ogni pietanza inventata nella cucina del Backpackers, ad ogni sguardo che incrocio con l'ennesima ragazzina tedesca venuta qui da sola a fare nuove esperienze. Ci sei in tutto e per tutto, col tuo “ma come ti combini?” quando indosso qualcosa di azzardato, con i tuoi entusiasmi smontati finemente dalla perfidia dei tuoi figli. Ti amo. E vorrei con te fare un viaggio, io e te da soli, nell'Europa del nord, tra i pini e le rocce. A urlare al mondo che siamo guariti, che il filo che ci lega è doppio perchè così doveva essere; perchè un panino ci basta, anche se tu lo sai fare meglio. Perchè tutto questo non può essere invisibile, è come fosse illuminato da un sole. Già, il sole di settembre, della fine del mese, che asciuga la terra bagnata delle prime piogge, che rende l'aria frizzante e la pasta che cucini ancor più saporita; sole che resta fermo lì, sulle undici e tre quarti, mentre fumo una sigaretta, mentre spazzi avanti e indietro per il terrazzo, mentre io, impuro, osservo la tua purezza, e mi rendo conto di quanto tu sei speciale, e che non ci sono le parole per dirtelo. A proposito, io sto bene, Mamma...

lunedì 20 agosto 2012

Il Mio Ruolo

Adesso sto seduto sull'orlo... lui mi guarda e mi dice:” è arrivato il momento di mostrarmi al mondo”. Ci starebbe un ritorno da mamma. Campane a festa, oppure osserviamo uno strano silenzio. C'avevo una festa a cui andare, o così pensavo, e mi sono ritrovato ad uno di quegli incontri conviviali calmi e da adulti. Io, che adulto non sarò mai! Il mio ruolo mi sta ancora stretto, e forse la paura risiede in questa idea minuscola e fastidiosa. Così, tra una cena cinese mancata e un cinema saltato, ho tirato le somme di una densa settimana, e l'ho fatto in compagnia di Nuria, che è catalana di Girona, ha la battuta pronta, e sa fare i palleggi col pallone. Chissà quante idee dovrà ancora cambiare; chissà come si muoverà ancora tra le frastagliature della vita, chissà come raggiungerà un'adulta esistenza. Come la neve e il sole, diventiamo acqua avvicinandoci l'un l'altro; niente di scabroso, per carità, io e la catalana siamo amici, e ci siamo ritagliati un modo per esserlo, tra omelette tipiche e cioccolata con i cereales. Lei continua a parlare e parlare, anche per evitare di dover ascoltare cosa dico, e quindi di dover sforzarsi di comprendere, io invece me ne vado ancora un po'. Approfitto della stessa terrazza in cui ero qualche giorno fa con Myrto la greca, do uno sguardo alla cattedrale sovrastata suo malgrado dalla balena Selfridges, e me ne vado un po'. Sfuggo con scaltrezza ai capitoli che mi inseguono, alla sciagurata idea che ho partorito un melodramma da soap opera, che il mio stile non aiuterà la storia a prendere il volo, che mi sono ammantato di un ruolo non mio. Sto seduto sull'orlo, o cammino spericolato sul ciglio, oppure ancora, e al contrario, trovo una nicchia isolata nella quale sperdermi o nascondermi come sempre. Giusto per dare un'ultima occhiatina, un tocco ancora, mentre Nuria mi chiama e ride di me, ché non ci sto con la testa. Ecco trovato il mio ruolo nel mondo! Adesso ci vuole un po' di coraggio e ammettere le debolezze, ci vuole un pezzo lungo lungo di David Sylvian, ci vuole una sigaretta, un fermacarte, un macinino, una tertulia con annessi spaghetti e camicie di fuori; ci vuole una foto opaca, un viaggio nelle Filippine, il sorriso di quella ragazza, proprio quella lì. E ancora coraggio, c'è solo da pigiare un tasto, e provare a vedere l'effetto che fa. Nuria sbadiglia e i suoi vent'anni diventano inesorabilmente dodici, ci riincamminiamo verso casa Backpackers, stavolta manteniamo il silenzio di chi si è giocato tutti i bonus di giornata; l'I-Phone vibra di messaggini orientali, di telefonate di Andrea che chiama dall'Eldorado; il sofa, accogliente sofa che non mi ospita, ma mi avvolge, fa il suo dovere, accompagnandomi nel rituale della sbirciata dalle parti della moquette colorata; il mio GMT, amichevole ma sornione, anche un po' beffardo, non si cura di essere finito, continua a chiamarmi... Io lo amo di amore paterno, lascio passare le sue finezze, le sue debolezze, i suoi capricci. Sarà lui a trovarmi un ruolo nel mondo. O no?

lunedì 13 agosto 2012

Da Farci La Doccia

Non ci è dato di saperlo. Una prateria, ecco cosa vuol essere tutto ciò, una prateria sconfinata, da attraversare al galoppo, o da superare a piedi scalzi, da valicare guardandosi intorno. Altrimenti ci si ferma e ci si accampa un po'. Non c'è magia, non c'è disillusione o arte e lindi sentimenti; c'è tanta vita da quelle parti, con la ricerca della felicità, non della perfezione. Avvolti e travolti da sensi impazziti, da istinti che andrebbero tenuti a bada. Le polveri si posano troppo tardi, o troppo presto, ma è naturale. Oh mio Dio, ho usato una parola che non mi piace. Perché è ancora e ancora vita; donna, coi tessuti adiposi amplificati dalla coscienza, con la fretta di mettere il sale nella pasta, con la paura di sorridere, e con quella di fare un passo in più. Ma stupenda, stupenda di imperfezioni e di errori, di slanci umani e di cattiverie disarmanti; di voglia di lasciarsi andare e di àncore affondate con tutta la forza sul fondale delle incoerenti congruenze. Non posso giudicare oltre, visto che con le unghie sanguinanti mi aggrappo alle rocce appuntite per non cadere nell'abisso dei tuoi occhi. I tuoi occhi sono oceano piccolissimo nel quale mi ritrovo ancora più piccolo; sono paradiso infernale che mi fa violento, che mi fa scacciare le sirene che cantano il mio nome, che mi fa usare le suole delle scarpe, che mi fa nutrire ancora quella parte di me che non si cura più di niente. Da tenere in alto, ma solo per u attimo, perché la vita degli altri, di tutti e anche la tua, va tenuta a distanza e va osservata; magari proverei a deviare qualche corso di qua e di là. Da tenere a cortissima distanza, mentre metti sei volte il sale nell'acqua per la pasta, o prendi le lattine, o ti lamenti del disordine infinito che c'è nella tua casa, nel tuo armadio, sotto il letto, dentro te... Da scoprire silenzioso, mentre fuori è musica osservante e occhi rumorosi; e volteggi con cautela, perché incontrarsi il più delle volte significa accorgersi delle sofferenze patite nei luoghi persi nel tempo passato. È ancora abisso, incorruttibile abisso, ne scalfiamo la natura facendoci le marachelle, ma tu vinci, perché l'abisso parte dai tuoi occhi. E puoi celarlo dietro la tua natura, dietro il tuo passato e la tua storia, dietro le tue sincere voglie di fare del bene al prossimo e dietro i peccati che continuamente commetti. Ma è tuo, io faccio lavoro di unghie conficcate nelle rocce per non caderci dentro come nelle sabbie mobili; mentre mi chiedo perché mai. Da saltare in padella, da leggerci una fiaba, da tenere al petto; e se vengono anche le moine ce le prendiamo. Da vivere con paura e con coraggio, senza la tv, con lo sguardo fisso al pavimento; sguardo che si ridesta, affonda i suoi occhi con tutto l'abisso che ti appartiene, sorride di finte amarezze. Da farci la doccia, una colazione, una rottura di scatole, una masticata al dentifricio, una passeggiata solitaria per le strade brumme, a chiedersi cosa, a chiedersi perché, a chiedersi quando finiranno le domande e ci si metterà di buona lena a cercare di vivere. Ma di domande possiamo farne tempeste, resta sempre la dolce faccenda, l'inebriante evenienza, la paradisiaca circostanza dell'abisso accogliente dei tuoi occhi. Il resto, non ci è dato di saperlo. E meno male.

lunedì 6 agosto 2012

Is It Really So Strange?

Non dovrebbe essere un male. Voglio dire, mantenere una fragile sensibilità, e rimanere immune dalle estreme tribolazioni della passione. Minuscola passione. Però da più parti sono oggetto di attacchi a ripetizione; ci stanno provando, e sapete una cosa? Non mi dispiace, perché è vita! Ogni giorno una dichiarazione di guerra, mentre cerco ristoro mentale nel cortile del BackPackers, tra le catapecchie in disuso e i neon ammassati lì dagli elettricisti che ci hanno dotati di un nuovo impianto. Il muro di fronte, coi mattoncini rossi e la canaletta per far passare i cavi; Frank passa, va verso la sua nuova casetta alla fine del cortile, mi dice che mancherà ancora una settimana, “See you on the weekend Bro”, e poi mi sussurra un “ciao” d'ordinanza. La nicotina si impadronisce ancora di me, passa il treno sopra il ponte retto da fantasmagorici archi anni trenta. Piove, e gli attacchi si fanno insistenti, dalle oscure e distanti brezze del nord Italia, ai vicinissimi villaggi dell'Estremo Oriente, passando per la Grecia, il Mar Morto, le Indie... Non provate un po' di invidia nei confronti del sottoscritto? C'ho un presente da afferrare e un futuro (iperprossimo) da vivere smanioso. La nicotina mi pervade le membra, i tre tavoli rotondi, uniti insieme per chissà quale recondito motivo, accolgono i posacenere a pancia in giù, ché piove ancora nella città dei Duran Duran. Un messaggio, una telefonata, una foto scattata in qualche stanzetta adolescenziale, un cerchietto per tenere i capelli in ordine, un paio di occhi, due, tre e quattro. E così via. È in arrivo un carico di sinonimi sul binario sette, affrettiamoci. C'è gente che si chiede come faccio a presentarmi in condizioni differenti, in compagnie differenti, in ristoranti differenti, con appetiti differenti. Ma posso stare qui, davanti a questa tastiera, per anni e anni, e comunque non riuscirei mai a rendere ciò che c'è. Dovrete annusarne lo spirito, dovrete carpirne l'odore, dovrete acciuffarne le essenze, perché io oltre non vado. “Tu devi ballare con me”- mi è stato detto. E io non ho neanche risposto, ho solo armato i miei occhi. Storie che finiscono, e storie che ricominciano, mentre il Messico mi dichiara guerra, mentre il cortile dell'ostello si fa deserto, poi negozio di giocattoli, poi panetteria. A proposito, devo dare alla tedesca la scatola nella quale ha messo i dolcetti che mi ha regalato per il compleanno. Il pallone da basket sta lì e nessuno lo tocca, mentre quello da calcio cambia sempre posizione ché c'è sempre qualcuno che ci palleggia un po'. Le due palazzine del BackPackers mi stringono teneramente a tenaglia, una ragazza francese misura il peso del bagaglio e lascia tutti. Intanto continuano gli attacchi, e non ho ancora capito se dentro c'è qualcosa, e allora ecco un lavoro certosino di martello e scalpello, oppure non c'è niente, e allora sarà meglio non rovinare il fondo della padella. La porta d'emergenza è sempre aperta, lì all'angolo c'è il posacenere a colonnina che Zoltan ha fatto mettere per me, così non semino cicche. Il Galles è lontanissimo, il pool pure, Quando anche... Adesso la smetto, ma devo rimanere qui, c'è un ultimo chilometro da percorrere. “Why is the last mile the hardest one?”- dice il Candido Poeta. Appunto, ho un appuntamento importante. Con un foglio bianco.