giovedì 30 giugno 2011

In Tutti i Sensi

E alla fine tuonò. Tuonò di brutto, di meraviglia, di attesa. Alla fine tuonò nella Terra di Albione; prima si contavano, erano un evento, dicevano che non arrivavano perchè qui è tutto piatto, statico, abile alla conservazione. Invece, alla fine tuonò! Con l'impeto guerriero, con le lacrime preparatorie, con gli angeli a fare i proclami. Tuonò marcopolando, tuonò dopo un piano accurato, dopo mille recriminazioni, tuonò dentro una cucina aperta a tutti. Aperta a quasi tutti. Alla fine tuonò, Amico Mio, bisognava solo aspettare, perchè alla fine, quando tuona, si dice sempre:”c'era da aspettarselo”. Tuonò di pasta al pomodoro, di racconti intimi ed intensi, di comunione di stati d'animo. Tuonò per tutti e per te solamente, e anche un po' per me. Tuonò di sera, davanti ad una cena, incurante dei paesi con l'atomica, arroganti!!! Alla fine, finalmente, con tutto l'impeto di cui disponeva, tuonò. È come se l'avessimo bramato insieme, è come se l'avessimo pianificato noi, detentori dello scrigno segreto, detentori del mistero, detentori di qualcosa di nostro, solo nostro; tua, solo tua, Amico Mio, che l'hai fatta diventare mia. Tuonò, e mi sembra di poter dire che ti sarebbe bastato aspettare, ma in realtà non ne avevo idea. Alla fine tuonò, cinico e discreto; pieno di paure e sofferenze. Accompagnato per mano da strategie, da milizie spiegate sul campo di battaglia, da silenzi, dalle mille aspettative e dalle mille paure di chi è costretto ad immaginare cosa succede dall'altra parte delle nuvole, prima dell'incontro scintillante, prima del momento in cui alla fine il tuono arriva. Centinaia di lampi, centinaia di indizi che avrebbero portato a quello... Alla fine tuonò, fragoroso e apoteotico, immaginifico e irresistibilmente terribile. Ma che bello! Tuonò in una terra in cui 'ste cose non succedono mai, in un corpo che non si aspetta che tuoni in sé. Tuonò quando tutto diceva che quel sole nemico avrebbe bruciato tutto; quando nell'ordine naturale delle cose non sarebbe successo... Alla fine tuonò, e il dolce fluttuare che ne è venuto dopo ha fermato il tempo, finalmente, ha bloccato le paure del prima, ha rallentato le tribolazioni del dopo. Tuonò, alla fine l'ha fatto, si è deciso, come se avesse preso la rincorsa, come se si fosse dato la carica da solo. Siamo sicuri che tu, Amico Mio, non c'entri nulla in questa storia? Io dico di sì, dico che tutti i meriti ti appartengono. Visto? Tendere l'orecchio, farlo con spirito positivo, tenere d'occhio le fobìe, non dimenticarle, chè loro ci hanno resi ciò che siamo, mettere dentro il pentolone tutti gli spiriti che ci accompagnano, tenere pronta la bocca per assaporare i nuovi gusti, con una mano il cucchiaio per mescolare la pietanza, l'altra lasciarla libera per le nuove esperienze tattili, e infine inspirare dal naso l'odore della sua pelle. Alla fine tuonò; c'era da aspettarselo.

giovedì 23 giugno 2011

Nowhere Fast

Velocemente, fin troppo. Stòppati per un momento, così non riesco ad assaporare. Velocemente, come sull'ottovolante, sono venuto in Inghilterra cinque minuti fa. Sono venuto in Inghilterra da talmente poco tempo che ancora non parlo la lingua. È stato prima, poco prima, che mio fratello ha compiuti gli anni. E le settimane volano, sarà un buon segno? Volano, le settimane volano, cadenzate e diversissime, come fossimo tutti dentro un gigantesco autoreverse. Velocemente, troppo. Così non c'è gusto, quasi. Prendi la bici, attaccala al palo, telefona ad un amico, manda un sms ad un' amica. Il mio ostello si popola, centinaia di persone, un minuto dopo è deserto, quasi. Treno comodo, con tutte le comodità, il wi-fi, il sorriso di una ragazza seduta di fronte, le gambe accavallate...ma cazzo se è veloce. I campi di grano, il verde, gli alberi. Ma tutto passa velocemente, fin troppo. Perchè alla fine i pali dell'alta tensione si prendono il mio sguardo, le mie attenzioni, il mio campo visivo. Quando questa guerra finirà, quando questa pace finirà, allora ricorderò tutto questo, ma intanto stòppati per un momento, perchè vai troppo velocemente. Un'altra triade di days off, un'altra settimana di bianco cucina, di verde ristorante, di bidoni della spazzatura, di film notturni; e poi troppi italiani in giro, Spotted Dog, amici, almeno voi, fatemi sta cortesia, fermatevi un attimo, fatemi assaporare, perchè tutto va velocemente, fin troppo. Ho guardato bene il suo viso, e l'ho vista ragazzina, tredicenne, sì i suoi occhi me l'hanno dimostrato. Come ci sei arrivata fin qui? Come hai fatto a raggiungere questo momento così velocemente? E perchè questo momento è già passato? Velocemente, fin troppo, coi barattoli di Nutella che vanno aperti, con la teiera che va riempita, con gli avventori dell'ostello che vengono e che vanno, con i cattivi ricordi che si ripresentano come gli esattori delle tasse, perchè il tempo è diventato un'opinione, e allora tutto è successo dieci minuti fa... Velocemente, come il treno su cui sto, come lo sguardo sorridente della ragazza seduta di fronte, che si distoglie velocemente. Allora mi sdraio sul mio letto, magari il tempo prova pietà, magari si ferma un po'. Il suono del treno che passa (o sul quale sono seduto) non è triste, ma è il suono di un treno che passa velocemente; come la scia di un aereo che si dissolve con tanta celerità che alla fine pensi non sia mai accaduto. Invece accade, accade tutto velocemente, fin troppo. Ester mi chiama, vuole andare a prendere un caffè; Seila mi rimprovera per la mia assenza, Angela legge il mio blog. Ma tutto è veloce, come se ci fosse una bomba con un timer dentro, e dobbiamo fare in fretta. Di autentiche emozioni ne provo a bizzeffe, ma adesso alla radio sembra quasi che passino solo spezzoni canzoni. Velocemente, con le birre che mi passano da sotto il naso, come il mio rum e coca prigioniero della mia mano destra, come gli avventori dell'ostello che vengono, trovano lavoro e vanno a vivere in appartamento. Come le lezioni di italiano date alle francesine. Oggi giovedi, dieci minuti fa era martedì; dove sono i giorni passati qui? Dove sono i mesi? Poi mi volto e vedo tutto. E mi chiedo: perchè tutto così velocemente? È il prezzo della felicità, della spensieratezza. Cazzo! Per stavolta sono stato veloce...

giovedì 16 giugno 2011

Sympathy for an Angel

Saresti nata a settembre. Venuta al mondo con “...un vestito troppo piccolo. E con gli occhi ancora blu”. E avresti acceso la luce; dell'ospedale, o della clinica. Schianto soffice su una montagna di cadeaux. Saresti nata a settembre, e avrei avuto paura a prenderti tra le mie braccia. Ma quella paura mi avrebbe abbandonato subito. Nata a settembre e appoggiata al mio petto, regina di tutto, me lo avresti sussurrato, miracolosamente, me lo avresti detto:”con gli altri avrò un rapporto speciale, con te saremo una cosa sola”. Saresti nata a settembre Fiore Mio, perchè è un periodo ideale, così cosparso di blocchi di partenza; a settembre, con l'odore di terra bagnata dalla pioggia, con l'odore di libri nuovi, con l'odore di bimba nata a settembre, odore che ti mette pace e subito dopo dolce e voluttuosa malinconia. Saresti arrivata a settembre, e ci avrei messo alcuni interminabili minuti per metterti a fuoco, ci avresti messo alcuni velocissimi minuti a scegliere il mio dito preferito con cui giocare. Saresti nata a settembre, uno dei primi giorni di quel mese, con le maniche corte; oppure uno degli ultimi, con la finestra chiusa, con il lume acceso, con il parquet per terra. Saresti nata a settembre, e insieme ci saremmo fatti beffe di tutte le vittime della stupidità; venuta al mondo con l'invincibile delicatezza della padrona di un cuore, del mio. Avresti parlato subito, miracolo, e avresti detto:” senti come cambiano i tuoi punti di vista!”. Mi avresti riconosciuto dalla voce, avresti subito imparato a sentire il tocco della mia mano sul tuo capo. Sarei peso dalle tua labbra, labbra di una bimba nata a settembre e ingorda, vogliosa di entrare nel nostro mondo quello tuo e mio. Saresti nata a settembre e ti avrei portata a casa; e ti avrei guardata per tutta la notte, per tutte le notti. Mi sarei sorpreso ad ammirarti, a scrutarti, ad osservarti, a crescere di nuovo ed ancora con te, e tutto questo a bocca spalancata. E ancora ti avrei raccontato la storia, le storie, tutto quello che avresti voluto. Saresti nata a settembre e saresti andata fuori con gli amici per una pizza. Nata a settembre tenendomi per mano, nata a settembre per lenire i mali del mondo, per completare le trame di un'esistenza alla quale manca qualcosina, manca tutto, manchi tu. Nata a settembre, occhi solo per te, confusione di sguardi, di mani che ti avrebbero cercata; e nella confusione i miei occhi, i tuoi occhi. “Una cosa sola”. Seduta sul seggiolino che avrei montato per te, ancora i miei occhi, ancora su di te, in macchina, che saresti nata a settembre. E avrei cercato un asilo per te, che strazio dover abbandonare la tua vista. Totalmente glabra, rosea, acqua e zucchero per cominciare, o il latte di mamma per combattere la prima fame. Subito nata a settembre e saremmo andati al mare, e non avremmo parlato, avremmo osservato l'orizzonte; io e te, coi capelli ricci, con lo sguardo furbo, e io totalmente in balia delle tue volontà; dorata e alimentata dalla mia vita. Saresti nata nel mese di passaggio tra l'estate e l'autunno, saresti stata una pioggia rinfrescante, un sole pallido che riscalda, un camino acceso. Il cestino per fare un picnic, un manto erboso costeggiato da una strada di montagna, un pranzo domenicale e una gita fuori porta. Con la minigonna e le penne colorate; con la testa appoggiata su un divano, con gli occhi su di me. Saresti arrivata nel mese di settembre, e avrei dato una mano di vernice alla tua stanza, avrei preparato la tua colazione, avrei detto agli altri:”fate pure”, tanto poi il tuo sguardo avrebbe incontrato il mio. E lo avrebbe fatto ancora. Tu saresti nata a settembre, perchè così vogliono i miei sogni, perchè saresti stata perfetta con tutte le tue perfette imperfezioni. Fiorile mia, annegata in un “fiume colore del piombo”, o persa nei meandri di un ostico labirinto, infinita perchè saresti nata a settembre, e non l'hai fatto. Dimmi solo che il nostro appuntamento è rimandato; dimmi che lo farai; dimmi che mi raggiungerai. Saresti nata a settembre, non me lo tolgo dalla mente; non dimentico le tue parole, tra le mie braccia con la massima circospezione, portata al mio petto, sussurrante:”con gli altri avrò un rapporto speciale, ma con te, Papà, saremo una cosa sola”.

giovedì 9 giugno 2011

APOlogia di un Tradimento

Dedicato a SaraLaSaramandra, amica mia infinita, che mi ha insegnato il valore dell'autodisciplina


Ce l'avevo, era qui con me, e l'ho perso. Era nitido e incontrastato, soft, ma ben delineato; e poi è andato via. Non so come ma l'ho perso. Ce l'avevo, amici miei, fino a ieri, in cucina, tra un'insalata ed una pizza; mentre armeggiavo con i coltelli, come fossi un guerriero giapponese. Era con me, bell'e fatto; lo tenevo in tasca, lo tenevo nel cuore e nella mente. Pareva che fosse attaccato alla mia gamba come una cagna in calore; scorreva libero ed impavido, come ancorato ad un blocco di ghiaccio; era poetico come una bandiera che sventola sotto il sole, con i suoi colori, con la sua storia. Aveva ritmo e incandescenza, musica e vita. E proveniva da me. C'era, cazzo, ce l'avevo, poi...”la sua pelle, nuda, a pancia in giù, appoggiata sui gomiti”. Ed è scappato! Io ce l'avevo, mi si era presentato con beltà, come fossi seduto su un trono ad accogliere i doni; lui, non il capolavoro, ma insomma, ci siamo capiti, c'era ed era mio. Ce l'avevo, con tutte le sue cosine al posto giusto. Matto e imbranato, ma simpatico e col senso del gusto. Mi si schiudeva davanti come una sonata, poi...”la sua peluria non invasiva, la sua mano a malcelare il viso, i suoi occhi verdi, il suo sorriso solo per me”. Fuggito, volatilizzato, evaso. Eppure era qui, scolpito nel marmo della mia coscienza, marchiato a fuoco, tra una battuta con i ragazzi ed una pedalata verso casa. Io e la mia autostima, io felice di dire a me stesso di essere uno scrittore. Infatti era qui con me, candido e bastardo, fallace ed imprendibile. Aveva fatto tutto lui, come ogni mercoledì, poi...”la sua schiena bianca, le mie dita ad esplorarla, a camminarci di sopra, il suo culo”. Come è arrivato è andato via, ma a me sembra impossibile, perchè era qui, ce l'avevo, non pareva potesse auutocongedarsi così, non lasciandomi traccia di sé. Cose nuove e strane mi capitano, e mi chiedo se alla mia età possa essere normale. Fa niente! Importa che è sparito, ce l'avevo ma è sparito, ce l'avevo... qui con me, pietra angolare della mia produzione, un morso ad un panino fragrante e ben farcito. Ce l'avevo, matto e disperatissimo, macabro e implorante, poi...”i suoi movimenti, la sua fica, stagliante di rosso, rispetto al nero del suo pube”, e lui è scappato via! Ancora e ancora; non l'ho neanche cercato, non ho chiesto di lui, e a chi poi? Era con me, come una danza, come un indirizzo completo su un foglietto di fortuna, come una camminata su una morbida moquette. Scorreva a velocità di crociera dentro di me, insieme ci prendevamo il maltolto, come ogni volta, d'altra parte... ce l'avevo, nucleare e tavolozza di colori, parto naturale perfettamente riuscito, prodotto chimico che sgrassa senza aloni, poi...”le sue cosce aperte, io dentro di lei, il suo dito in bocca, la sua testa girata”. Era forte e descrittivo, metteva la carica, ce l'avevo, l'ho perso. Ce l'avevo, armonico e potente, mi chiamava e aggiungeva qualcosa, e poi ancora qualcos'altro. Mi beavo alla vista dell'ennesimo miracolo, fino a ieri, quando ce l'avevo, piegato ben bene, stirato e ammorbidito, vitreo e cangiante; follia pura, come solo uno come lui sa essere senza scadere nella volgarità. Era con me, lo stronzo, poi...”la sua lingua nella mia bocca, implorante di farla godere ancora e ancora, i suoi capezzoli duri a completare seni bianchi modellati nella panna, i suoi fianchi ancora tra i miei palmi”. Sfuggito, partito per la tangente, ce l'avevo, fino a ieri, poi mi ha abbandonato. Ancora e ancora mi chiedo come sia stato possibile perderlo; perdere lui che marciava con fierezza, delicato e ostile, poncio con il quale ci si scalda nei momenti di freddo, tazza di cià buonissima; sapevo di poterlo lasciare un attimo lì, tanto lui non si sarebbe mosso. Poi, puff, come in un sogno, come in un incubo, come nel peggiore degli incubi; ed io solo, poi...”ancora i suoi occhi, ancora a giocare con la sua pelle, con i peli del suo pube, con i suoi capezzoli rosei”. Ce l'avevo, amici miei, il mio post del mio benedetto blog. Poi l'ho perso...è andato via; “come lei”.

giovedì 2 giugno 2011

L'Infinito

Sulla battigia, camminare un cammino, e farlo sulla battigia. Decidere di farlo alzandosi di scatto, abbandonando l'ombrellone al suo destino; abbandonando lì i parenti, la fidanzata, gli amici, la borsa frigorifero, il pallone Supertele troppo leggero. Sulla battigia, al suono di two rights make one wrong di Mogwai, camminare dimenticando che la linea della battigia è finita, finita intesa come aggettivo. Battigia come una passerella non di moda... Sulla battigia, costume e collanina, tatuaggio in bella mostra, camminare e andare verso la fine della spiaggia, dove c'è quell'Eldorado, dove c'è semplicemente quella montagnola che pone fine al litorale, dietro ne nasce un altro. Battigia che siamo solo io e te, incuranti dell'ovattato e sordo vociare dei bagnanti, di luglio, di sabato. Ai piedi le infradito cool, alle orecchie, o nella testa, two make rights one wrong di Mogwai. Una pietruzza ti trapassa il tallone, tu la scalci via, senza fermare il tuo incedere sulla linea-battigia, tra spiaggia e mare, tra terra e oceano, tra certezza e sogno. Sulla battigia, in compagnia di nessuno, passo lento o affrettato, una stronza che prende il sole sul materassino in acqua, cappellino con visiera bianco, costume infilato volgarmente nel culo; un'occhiata, soltanto una, poi sguardo rivolto al futuro di questo passeggio sulla battigia, o sguardo rivolto ai ciottoli di questa spiaggia fraterna. Sole alto, goccioline di sudore che trapassano le barriere dei sopraccigli, bruciano gli occhi, si annidano nelle ascelle; e allora, non perdendo il filo della camminata sulla battigia, via di trotto verso l'acqua, fino ai ginocchi, fino all'inguine, refrigerio. Poi ancora sulla battigia, la vegetazione scarna che esclude allo sguardo quella volgare strada; l'odore di fritto misto, i camerieri dei ristoranti estivi, lontani, che fumano sigarette sicuramente nazionali. E la spiaggia continua a pullulare, invertendo realtà. Bimbi spaventati che osservano gli altri che schiumano acqua apparentemente non putrida. È da tempo finito quel tempo per me. Mi sembra sempre più un miracolo questa passeggiata sulla battigia, solo coi miei cazzi, e la sterile entropia tutt'intorno a me; sulla battigia two rights make one wrong di Mogwai continua ad imperversare, fa il bello e il cattivo tempo. L'odore di vaniglia, la mamma che si morde il carpo della mano e le promette ad una bambina coi braccioli che non vuole uscire dall'acqua. Lasciala stare lì, non le rompere i coglioni. Le mie mani si muovono al ritmo di una musica che che sto ascoltando solo io; le quindicenni insicure leccano un gelato e si coprono le flaccidità con le tovaglie da mare; un non più ragazzo, ma per nulla uomo fatto, si è trascinato il proprio cane boccheggiante. Il bagnino dell'ennesimo lido sistema l'ombrellone per la signora sola, chè il marito è andato a lavorare. Vorrebbe farsi scopare di chiunque, è una vita che lo pensa, ma non troverà mai il coraggio. La spiaggia a destra, il suono malinconico delle onde che sbattono sulla battigia davanti; poesia che viene infranta dai cinque ragazzi col pallone, che si pavoneggiano davanti alle due stronzette sedute sulla battigia, ad una delle quali piace uno di loro...all'altra piace uno di loro, alle due piace lo stesso, forse non lo sapranno mai. Vince sempre il più forte. Per voi, non per me, io cammino infinitamente sulla battigia, siete voi ad avere bisogno di altro. Alle spalle il goffo tentativo acrobatico di uno dei ragazzi, davanti a me l'infinito sempre caro. Sulla battigia, come un miracolo, il cielo si inscurisce, l'orizzonte si fa mistero, la spiaggia si spopola, le membra cessano di essere mortali, non hai più famiglia, non hai più amici, non hai più donne e partners e fidanzate. Hai il sole buono che ti da tregua per un attimo, e costruisce solo per te un piccolo tramonto fuori orario; le tende sporadiche degli accampati occasionali ti ricordano che ti stai allontanando sempre più; ti volti, non metti a fuoco in lontananza il punto esatto in cui ti trovavi all'inizio della tua camminata sulla battigia; gli organi ti richiamano, sposti lo sguardo verso il mare davanti a te, calmo a riva, un po' mosso nella media distanza, un veliero, oppure no. Come fai a non amare con tutto il tuo essere il blu del mare? Come fai a non venerarlo? Seduto sulla battigia, a lanciare pietre sul pelo dell'acqua, a vedere quanti salti fai fare loro, tanto poi non riesci a contarli veramente. Seduto a contemplare la montagnola Eldorado. Poi ti rialzi e continui il tuo cammino, e continui a farti accompagnare da two rights make one wrong dei Magnfici Mogwai...