venerdì 27 gennaio 2012

Chiusura per Fierezza

Di tanto in tanto ci piace spendere il tempo facendo finta di fare shopping. Spostare la freccetta del mouse che infastidisce con la sua presenza insignificante ma molesta; liberarci del maglione chè dentro le stanze dei dormitori dell'università il clima è “caraibico”. Ognuno col suo pezzo in testa, io ad esempio, adesso c'ho dentro Stone Roses, chè sono in Inghilterra e non lo dimentico. Ci piace trovare scorciatoie per raggiunger l'uno la casa dell'altro, e poi ci sediamo di fronte. E comincia l'atto del raccontare, dello sviscerare. Dovremmo chiudere per ferie, ma abbiamo detto in altri contesti che non ci basta mai; e allora dovremmo chiudere per fierezza, e la cosa spesso, o raramente, ci riesce. Tre o quattro parties intorno a noi, ma a volte, repetita iuvant, è meglio chiudere i battenti e concentrarsi sui racconti. Concentrarsi sui main loves, e non perdere di vista le centinaia di flirts, ognuno col suo soprannome, ognuno con le sue prerogative. Sto creando un mostro, o forse è il mostro che sta creando me. O ricreando, nel senso di pausa. Non è mica una vita limitante, non è per niente un salto nel buio; ci stiamo provando, e facendolo stiamo vivendo. Scrivendo poesie che capiamo solo noi, elargendo a destra e a manca giudizi di valore, rimostrando, noi poveri alieni, contro gli usi e i costumi che vengono da altri mondi, da altre modalità. Questo blog è ormai un appuntamento fisso, mentre da altre parti nella mia testa nasce qualcosa che ancora non riesco a definire. Come se dovessimo dare un nome a tutto. Intanto ci sono i vorticosi giri completi che segnano inesorabilmente le nostre settimane; sconfitte che si tramutano in vittorie, e viceversa. E viceversa. Telefonate che testimoniano delle nostre marcatissime parti femminee, mentre poi a guardare bene, caspita quanto siamo maschi. Con tutti i nostri ormoni pronti a schizzare verso obiettivi dannati e verso soavi target. Sbattuti contro i muri, catapultati come sassi giganti dall'altra parte del muro di cinta, in una battaglia senza fine che fortunatamente ci fa fare il giro del mondo. Cambiamo repentinamente, eroi schizofrenici di noi stessi, passando da una nobile tolleranza senza tempo ad un meschino comico razzismo. Non preoccupatevi, finirà anche questo oscuro periodo in cui le parole producono musicalità ma non si capisce un cazzo. Tornerò, e torneremo, come l'alunno dopo una lunga malattia, il quale si guarda intorno e nota i capelli cresciuti del proprio compagno di banco. Ancora Stone Roses, che vengono da Manchester... Già, Manchester, ma questa è un'altra storia, trepidanti l'attendiamo; impauriti l'attendiamo. Intanto martedi giorno di pulizia, occhiali per leggere meglio, cena a base di philadelphia, “passo io”, la Jamaica chiama e si ritira. Any party tonight? I bambini che non si degnano di un'occhiata, triangolazioni Skype, il tappeto del backpackers che si allontana, Aston che mi mette una pace che non si può raccontare a parole. E allora come ci si comporta? Niente, si chiudono i battenti, giusto un attimo, giusto per ricaricare le pile, chè sappiamo benissimo chi sono i nostri nemici, e chi sono i nostri amici; e sappiamo anche che sono le stesse persone. Tanto poi il circolo dentro il quale ci troviamo cesserà di esistere, verremo proiettati fuori e avremo altri orizzonti da guardare, altre occhi da scrutare, oppure sempre gli stessi.

venerdì 20 gennaio 2012

L'Altalena

Può anche non essere una tempesta col mare in burrasca, che i bollettini hanno fama di essere catastrofici; può anche non essere un nubifragio, che chiudono le scuole, che manca la luce e devi stare chiuso in casa con la candela che si consuma. Può anche non essere il monologo gridato e nervoso di un attore forte della convinzione delle proprie idee. Non la maestosità di un panorama di montagna, oppure il cartellone pubblicitario più grande che ti accoglie subito uscito dall'aeroporto. Non è detto che possa essere un lungo romanzo di appendice scritto da un autore ottocentesco, o la finalissima di Coppa dei Campioni...
Un altro capoverso, per spiegare che l'altalena va su e poi giù, e la vista cambia, e un po' ti spaventi quando vai troppo in alto. Può anche non essere il Brasile, o il Canada, o mamma Africa. Non deve per forza essere un colpo di genio. L'importante è che non ti basti mai, perchè non basta mai. Nelle lunghe telefonate in cui gli argomenti si sviscerano, si approfondiscono, si analizzano, si sventrano. E poi ancora “hai capito cosa voglio dirti?”, ma certo che ho capito, ma tu ripetilo, non si sa mai. Un giro ancora, per vedere che succede sempre la stessa cosa, e per sentirne il magico sollievo. Un cigno bianco, e uno nero, si muore secondo dopo secondo, e poi si rinasce. Adesso, senza prima e senza mai. Sulle montagne russe, tra i pini in pineta, sulla spiaggia col cappello di paglia, dentro l'atomo dell'atomo. Tanto tempo fa, oppure quindici minuti prima, con gli sguardi sul telefono, con gli sguardi sull'orologio; zappeggiando da record col telecomando, o pianificando un tour parigino. Quando arriva mica si fa annunciare. E ti riscopri vulnerabile, e quindi vivo, alla mercé degli eventi, degli atti che scaturiscono da altri mondi, da altri cervelli, da altre pulsazioni. E fai presto a rifugiarti nel sogno, a mettere la testa sotto il cuscino, alla ricerca del sonno; passi dal ruolo del protagonista a quello dell'outsider in un fiat, e non puoi fermarne l'impeto con le sole mani. La tua unica arma è rimanere sano, rimanere folle. E sorridere. “Dicono che una fine può essere un inizio”, ma erano francesi. Ed è vero che a volte non vogliamo essere intelligenti. E allora può anche essere che stai in spiaggia, tra i ciottoli e la sabbia, senza cappello di paglia; senza i pini in pineta, coi piedi piantati per terra. Lo stesso non ti basta mai. Una frase stupida, se pronunciata tutt'intorno ad un neo miracoloso. Welcome to Luxembourg! Una partitella tra amici, di quelle che giochi con in testa una canzone, e sbagli di brutto, tanto chi se ne frega... Beati, nell'atomo dell'atomo di un semplice “giretto di parole” scritto a penna, amico mio immarcescibile; l'abbiamo capito, nonostante tutto. Una foto, piccola, tascabile, può essere anche così, sempre dalle parti dell'atomo dell'atomo. Può essere, sì, un ragnetto scovato nell'angolo più buio della stanza, oppure quel particolare lì; una parola soltanto, sussurrata a dispetto del resto del mondo, sussurrata col sorriso tra i denti, sussurrata... non serve mostrare i muscoli se la pioggia è sottile e neanche te ne accorgeresti se non fosse che le gocce ti trapassano il corpo, le mani, lo strazio. Può essere naturalmente anche una calma piatta, con le onde piccole che sbattono sulla battigia, formano una schiuma veloce e si ritirano chiamandone altre. E altre ancora. E tu ti accorgi che non ti basta mai.

venerdì 13 gennaio 2012

Diavolerie di un'Ambizione

È un'estate appena cominciata, sono interessi che maldestramente diventano routine. La chiamano evoluzione, poveri bastardi. Ma è così, chi sei tu Fabio per imprigionare tutto ciò, per renderlo per sempre uguale a se stesso? Quali caratteristiche mai hai acquisito per fare questo? Sembra uno di quei filmati in cui tutto è velocizzato, cambia vorticosamente il panorama che c'è intorno, e tu resti lì. Quasi immobile. Quasi. Verrà il giorno anche per me, verrà e non solo ne sarò consapevole, ne sarò anche felice. È questo lo scotto che mi paga questa chiacchierata solitudine; questo stare ai margini, questo bivaccare alla periferia delle cose giuste. Il fatto è che per la prima volta non sto recitando parte alcuna, non devo sforzarmi per ricordare il copione a memoria, non devo dare un sentimento artefatto al personaggio. Sono io, un piede saldamente ancorato ai tappeti del Backpackers, l'altro libero di muoversi a piacimento. Un giorno faranno un bel meeting, un briefing, un chiarimento, una conversazione, una bella discussione sul tutto e decideranno. Insieme. Cosa fare.
Palleggio col pallone piccolo da collezione in giardino mentre vivo il sogno di giornata, mi inebrio del suono lo-fi di Mogwai, immagino me stesso dentro un'arena, un palco, un teatro, a recitare monologhi. Le chitarre sono assordanti, il pubblico fischia di impazienza, la prova degli strumenti è finita. Deliri e poesia, quando meno te lo aspetti, prendere il buono da tutto e traslarlo, e farlo diventare magia, anche se Frank ha deciso che andrà via, anche se Simon lo svedese ha appreso la consapevolezza che non si può vivere non dividendo l'appartamento con la fidanzata. Un paio di Cuba Libre con Silvia, catalana dagli occhi belli e dal naso perfetto, mentre dalle parti di Selly Oak ci sono gli esami di metà anno, e le mie chitarre si producono ancora in movimenti, distorsioni, opere e omissioni. Il mio boss mi fa l'ennesima ramanzina, io lo guardo e gli sorrido coi miei occhi, anch'essi belli; e memore delle lezioni imparate altrove gliene do una io, di lezione. Sei gradi centigradi, diventeranno meno uno, mentre ci si sbatte per sapere ancora ed ancora cosa fare della serata, manco fossimo i Drughi di Burgess. Manco fossimo la carovana di Mangiafuoco. Però mi piace tanto questo viaggio andata e ritorno tra amicizia e semplici conoscenze; assaporo con gusto la libertà di decidere per me, a volte anche per gli altri, visto che porto nuove mode a Brummia, io novello Opinion Leader. Il palleggio col pallone non finisce quasi più, destro e sinistro, metafora di una vita che non sa che strada prendere, ora che sarò il veterano di sempre, e non ho la costanza per battere me stesso. La mia voce, nei meandri delle mie cervici, è dolce e flautata, oppure possente e pronta per battere i cristalli. “Facciamo una partita a Scarabeo”- vorrei che mi dicesse. Sto in attesa, seduto come dal dentista. Passione Troia, che mi fai perdere il controllo! A volte. Uno squillo, uno soltanto, e trovo i mezzi per cominciare daccapo. Perchè sei seducente in ogni tua forma, anche qui tra i tappeti del Backpackers, anche fuori sotto l'aborto del Bullring a forma di balena; anche tra gli amici che giocano a calcio, anche nelle espressioni del boss che forse malcela un'impotenza sessuale. Anche e soprattutto nel tuo modo inconsapevole di cucinare i noodles, o nella tua incostanza quando ti ridesti dal sogno di venire in Italia con me, di andare insieme nella città di Morrissey. Anche nel mio mondo fatto di chitarre assordanti che distorcono i suoni, come piace a me. Lo scrissi una volta, da diciassettenne, ma allora ci stava: "vivrò a lungo con l'incostante umore dei giorni di adesso?".

venerdì 6 gennaio 2012

Attingendo da un Quartiere

Se l'assenza di ispirazione diventa un problema puoi sempre mischiare uova e philadelphia, sale pepe e due fette di pane; puoi sempre guardare Barry Lyndon e struggerti di fronte ad un uomo che nonostante la sua impudicizia piange per la morte del figlio. Se la perdita di ispirazione diventa un problema è perchè non puoi più aspettare che di sera succeda qualcosa. Quale può essere un'attività lucrativa per il cuore e per la mente? Di uccidere il tempo non se e parla neanche...ce n'è talmente poco. Mi chiedo, con spietata inclinazione ad un intimo sorridente piagnisteo, se questo soggiorno non mi stia un po' troppo stretto. Soggiorno inteso come camera da giorno. Ma non mi faccio assillare di brutto, cerco ancora un'invincibilità supposta, mi alzo e vado via. Digbeth lo stradone senza tempo e senza dimensioni mi accoglie; e lo percorrerò al contrario. I passi si fanno doppi e tripli, ma non mi molestano, mi accompagnano in questa passeggiata temeraria. Se l'assenza di ispirazione diventa un problema c'è sempre Digbeth, il negozio vintage, la stazione dei bus, tre corsie per le automobili, il posto di polizia, il fast food. Ti accorgi con solerzia che l'ispirazione non ti ha mai abbandonato, sta lì, in zona ipofisi, si sposta verso la parte sinistra del petto, dove mille operai stanno facendosi il mazzo per far spazio ad una Principessa. Se l'assenza di ispirazione diventa un problema c'è sempre uno sguardo ad uno qualsiasi dei campanili brummi. Digbeth è la risposta, o può essere tale, se l'assenza di ispirazione diventa un problema, con la busta di Primark nella mano destra, con l'intenzione di comprare le sigarette in testa, con un illimitato carteggio con te stesso in continua evoluzione; con il ristoro mentale di ciò che si appresta a venire. L'incedere diventa eclatante, le tue All Star ti aiutano, i jean's diventano parte del paesaggio, e lo smog non intacca le vedute agresti e campestri che stai immaginando. Oriente, tanto per cominciare, chè l'ispirazione attinge da sé stessa se solo apri la tua mente. Mille sorprese da vivere, mille colori da inventare nella tavolozza dell'immaginazione, mille sbalzi umorali, centinaia di migliaia di stati che si accavallano gli uni sugli altri. Uno di questi giorni dovrai pur appoggiare le tue labbra alle mie orecchie, e dirmi tutto, o soltanto un po' di quel tutto. E così, se l'ispirazione diventa un problema lo è solo per certi aspetti, solo da alcuni punti di vista. Per intanto Digeth, il suo carico di fiori assenti, il suo essere “quartiere pancia”, accogliente come le mani di una nonna sprint che profumano ancora di candeggio appena fatto. Digbeth in trasformazione che diventa scrivania di legno chiaro, letto sfatto, lume penombroso; Digbeth che diventa “uno di questi giorni”, con un cazzone visto dall'altra parte della carreggiata, con le ragazze di colore che parlano al telefono, con i nastri di partenza, con i profumi della cucina indiana. Se l'assenza di ispirazione ti attanaglia e ti corrompe, puoi sempre inventarti qualcosa, e farlo con astuzia, chè il meglio lo aspetti per le vere cose che possono accaderti. Magari stasera. Solo chi ha visto il Diavolo in sogno può capire.