venerdì 30 dicembre 2011

Corsi e Ricorsi

Ne volete sentire una vecchia o una nuova adesso? Mica c'è tanto da arrovellarsi il cervello, basta una parola, una scelta. So che non potete rispondere, è il grosso difetto a cui incorre uno che qualche volta si diletta a scrivere per altri tre o quattro. Però, tanto per, la domanda la faccio lo stesso. Qualcuno sa dirmi cosa vuol dire? Allora, una vecchia, orecchiata, trita e ritrita, con tutte le sue belle cose al posto giusto, col gusto riconoscibile tra tanti; oppure un nuovo pezzo, che sa di libro appena comprato, che sa di scartoffia e che profuma? Il giorno è quello, non c'è che dire, basta andare a ritroso e controllare. Allora la domanda “ne volete sentire una vecchia o una nuova?” è solo una presa in giro, sapete già cosa voglio dire. Lo disse un giorno Francesco, durante un concerto, e la gente si sprecò in risposte di ogni tipo, addirittura uno, con voce possente ma sgraziata disse:”Bastardi, vecchia!”. E aveva ragione, se ne accorse quando le chitarre e la batteria attaccarono con Rimmel. Ma oggi, amici miei, non mi va di scrivere di donne di quadri che ti guardano con sufficienza, di immagini sovrapposte, di muri imbrattati. Oggi, come ogni penultimo dell'anno da qui a sempre, voglio rendere palese la mia nuova natura. Uh che ossimoro gigante. Ne volete sentire una vecchia o una nuova? Facciamo così, per la vecchia vi rimando ad un giro turistico per le pagine di questo blog; oggi cerco di regalarvi una nuova sensazione. Un nuovo ritmo, un nuovo mondo. Magari con gli occhi a mandorla. Ops, mi è scappato. Ok ricominciamo daccapo. Credo che la vostra risposta non possa esserci, come al solito deciderò io. Ha un nuovo sorriso, le mani affusolate, un neo da qualche parte. Ha dato una culata ben assestata e si è sistemata per benino dentro di me, ma non occupa molto spazio; si è presa la briga di sorridermi, ogni tanto. E di farmi tribolare un minuto sì e uno no. Mi ha insegnato ad usare le bacchette, e tra me e le sue mani c'è un invisibile elastico. Quindi? Ne volete sentire una vecchia o una nuova? Perchè se la scelta è la seconda, sappiatelo prima, io non ricordo assolutamente niente. Sono un po' ammaliato. Fanculo a tutto il resto! Scorre il mix su youtube di una delle mie band preferite, e le immagini si sovrappongono alle attese; il racconto da scrivere si è accucciato da qualche parte, la mia vita è sempre una nave che va, e la mia unica preoccupazione resta sempre l'età che avanza. Ma poi mi fermo e, facendo finta di riflettere, perdono me stesso pensando che i modi non cambiano mai. Allora, per l'ultima volta, ne volete sentire una vecchia o una nuova? Ok, niente preamboli. Se mi parla ad un palmo vorrei baciarla sempre, e se mi prende la mano lo fa perchè vuole che la cinga in un abbraccio, mentre guardiamo un film; e a metà, come non fosse niente, mi dice chiaramente che è arrivato il momento di fare l'amore. La nuova storia che potreste scegliere è un sole che si sta appena alzando, una tazza di caffellatte, un barattolo di latta che riflette una fortissima luce; è una fotografia, un libro disordinato in cui non c'è un filo logico, un paio di scarpe adidas comodissime. E poi ancora un gatto che fa le fusa, dormire sul petto di una Principessa.

venerdì 23 dicembre 2011

Love Actually

Un plaid, il salotto buono, le ciabatte buffe, Ti alzi ancora una volta; mastichi qualcosa, Ti risiedi, Ti ridesti, mi ammali con le solite “cose semplici”. Fuori piove, fuori non ci sono nuvole, sicuramente non c'è il sole, perchè non ne abbiamo bisogno. Il plaid, la digestione, la domenica, le luci intermittenti dell'Albero, la punta è prerogativa di mamma. Il tappeto bianco, la musica immaginata, i nostri corpi che si sfiorano, i nostri corpi in coro che si scrutano da vicino, che si conoscono. Il plaid che ci completa, le dita dei tuoi piedi, le risate, il ricciolo che si attacca ad un cuscino, gli occhi verdi da nordafricana. Un'inondazione conosciuta, con le luci dell'Albero che illuminano a intervalli irregolari i pacchetti e gli scatoloni che si trovano giù. Le suppellettili, il balcone fuori, concepito solo dalle nostre menti, chè mai ci verrebbe in mente di uscire fuori; il lettore dvd, le solite meravigliose frasi; il rituale liturgico che ci nutre perchè è parte di noi. Il consueto gesto di lisciarti i capelli vicino alla spalla, il consueto diventare piccola mentre mi prendi in giro chiedendomi di andare ad inserire il cd nel lettore. Poi il Primo Ministro che fa la vittima di gaffes inattese, che fa il protagonista di atti eroici, per l'Inghilterra. Chi l'avrebbe immaginato che l'Inghilterra sarebbe stata mia... Il ragazzo innamorato della moglie dell'amico, alla quale dedica la più bella dichiarazione d'amore del Creato. Il nostro plaid ancora lì, a fare bene il suo dovere, le nostre mani che si stringono, come se si stessero perdonando vicendevolmente, preventivamente. I miei occhi che distolgono lo sguardo dallo schermo, e vanno via per un po', e vengono da Te. Il plaid, la coperta cara, il piccolo ma consistente focolare nel quale mi sento protetto, Ti senti protetta. Il Tuo polpaccio sulla mia coscia, il Tuo ricciolo che si attacca da qualche parte, il Tuo finto dolore, le Tue buffe ciabatte, “Io, Simpatica”. E la risata che apre un mondo. Lo scrittore che va in campagna per dimenticare la moglie infedele, non sapendo che si innamorerà ancora; il signore attempato che proverà a tradire la moglie, per la quale puntualmente Tu farai il tifo. E il plaid sta ancora lì, e niente luce fuori, chè il nostro sole ci basta. Niente sole fuori perchè il nostro rito è pomeridiano, natalizio, piacevolmente incessante, soavemente scuro, ricco e pieno di aspettative. La stufa irradia tutto il calore di cui hai bisogno, tutto il calore che speri. Le mani, la macchia di caffè sul Tuo palmo, le risate, i pianti, le energie. La ragazza dai capelli rossi non si libera delle pressioni del fratello malato e non dà futuro al suo amore per il bel tenebroso dell'ufficio. Il rossore che Ti prende quando ci sono le scene delle due controfigure che si scambiano timide parole, a dispetto di ciò che di esplicito stanno facendo. Mentre l'amore tra lo scrittore e la inserviente portoghese nasce Ti senti libera, e intanto Ti nascondi dietro la mia spalla. E io mi sento potente. E il plaid continua nel suo incedere, anche quando il piccolo orfanello confessa di essere innamorato, anche quando il giovane fattorino riesce nell'impresa di andare negli States a fare incetta di donne, anche e soprattutto quando tutti si ritrovano in aeroporto, a scambiarsi abbracci, a ricordarci che ciò che conta nella vita ce l'abbiamo lì, sotto il plaid, con le buffe ciabatte ai piedi, con i riccioli che si impigliano da qualche parte, con la stufa che irradia un calore avvolgente; con le suppellettili tutto intorno, con l'Albero e le sue luci intermittenti. Con il tuo polpaccio sulla mia coscia, con i nostri corpi che si stupiscono ogni giorno, ogni volta che si riconoscono. Tua madre ci chiama per chiederci se vogliamo mangiare. “No, preferisco andare a casa”. Ancora trenta chilometri di sogno, ancora sei o sette pezzi da ascoltare, ancora una volta a ripassare la lezione. Perchè nel nostro rituale liturgico dei giorni che precedono il Natale ci basta quel plaid per farci provare L'Amore Davvero. Buon Natale Fiore Mio.

venerdì 16 dicembre 2011

La Moneta Fuori Corso

Mi piaccio, non c'è che dire. Questa tristezza cupa, ma inesorabilmente acuta, mi mette dentro una tribolata pace. Mi piace il mio modo di ragionare, il mio essere “equilibrato”, la assenza di ucronia nel mio futuro prossimo e in quello remoto; c'è tanto bisogno di me su questa terra, sì. Soprattutto quando mi accorgo delle desolate lande che macchiano a chiazza di dalmata ogni centimetro quadrato di questo luogo di conflitto chiamato Terra. La stupidità umana mi è nemica, armata com'è di anemia intellettuale, scusate se mi autoincenso indossando una panoplia che nessuno mi ha chiesto di indossare. Paladinando un po', a volte mi struggo per l'ennesima battaglia perduta, altre mi danno l'anima, altre ancora mi riserbo il diritto di festeggiare. Ma solo con me stesso, chè le forze del bene non annoverano così tanta gente tra le proprie fila. “Hai ragione”- come fosse un premio da attaccare alla parete, come fosse lo scalpo desiderato, come fosse l'ennesima testa impagliata da lasciare in cantina, visto che non c'è più spazio nella piccola parete dilaniata. Gente che ti guarda con gli occhi spiritati, gente che venderebbe la propria anima, se solo ne avesse una, pur di strapparti un lurido sollievo, una piccola ed insignificante vittoria. Non capendo che le alte considerazioni di sè stessi sono frutto di una celestiale visione del mondo raggiunta dopo mesi di preparazione sulla rampa di lancio dell'umiltà. State a casa se potete, il mondo è troppo bello da vedere, ma anche difficile da capire. Di solito a questo punto faccio qualche esempio non comprensibile, e anche stavolta non faccio specie. Tra i tonti sorrisi della ragazza americana, nei cinema d'essai, nei concerti live mai parchi di positivi turbamenti; nelle pietanze esotiche, nei nuovi modi di dire e di fare, nei contesti arricchiti da inediti sguardi. Poi arriva la picconata che fa crollare tutto, che inneggia ad una normalità supposta, che magnifica, glorifica e osanna la povertà di intendimenti; celando senza saperlo la paura verso il differente. Siamo in Guerra, gente! E dobbiamo farci esercito, dobbiamo farci coorte, reggimento di menti e di cervelli, di convinzioni, di abnegazioni. Prendete le mie parole come inno, o come esortazione. Forza ragazzi, fatevi ispirare. La ragione è solo una moneta fuori corso! Loro sono di più, ma non alzano lo sguardo, non articolano le parole, le frasi e i discorsi; solitamente finiscono le conversazioni con un non meglio identificato “non mi frega un cazzo”, nascono e muoiono con le stesse fattezze. Ma si riproducono velocemente, e pare non si distraggano nel farlo. Usiamo le nostre armi: un cielo grigio, il gesto di appoggiare il nostro drink sul tavolo scuro di legno, un'impotente lacrima davanti ad una bambina che non cela serenità in viso; una barretta di fondente nel pomeriggio piovoso di metà dicembre, un cuscino rosso sul divano nero, una rosa-segnalibro. Riprendiamoci la dolcezza dell'apprezzare il suono di una lingua sconosciuta, sogniamo una spiaggia diversa dalle nostre, una coscia di pollo farcita con una salsa stramba. Riappropriamoci con delicata forza l'asimmetria dei versi di una poesia che racconta di mondi lontani, mettiamoci con ardore nei panni altrui, tendiamo le ali per un lunga abbraccio non richiesto; cresciamo con l'incedere degli archi, dei fiati, delle percussioni. Non diamola vinta alla noia, all'imbarbarimento, al fastidio, all'insofferenza, al tedio, all'irritazione, all'uggia. A questa inclinazione molesta che codeste formiche inoperose stanno mettendo dentro il calderone della convivenza mondiale per non doversi sottoporre ad una resa dei conti che porterà tutti loro dentro una nuova, inaccettabile consapevolezza. Quella di avere torto, quella di non poterci più stare. Io sono ottimista. Voi?

venerdì 9 dicembre 2011

Tre Zollette

Davanti al bancone, in piedi, con la felpa, i capelli a caschetto. Un mano piegata sulla bocca, il pollice tra i denti, a mordicchiare la pellicina; una mano sugli occhiali, a sistemarli un po', per capire meglio. Capelli neri, caschetto giovane, di venerdi, la borsa capiente, gli occhiali necessari, il numero trentasei. Le mani, la mano, sul telefono, sugli occhiali, a mordicchiare il pollice, la pellicina. Scoppia la bomba, alle tre e trentasei, come il fischio di inizio, come la nuotata in apnea per raggiungere il pallone a centro vasca, come lo scatto della merendina che va incontro al suo destino quando si lancia dal vano che la ospita per finire nello spazio della macchinetta erogatrice dal quale la si può raccogliere. E ancora le mani, a digitare sul telefonino, “sono arrivata”, “sana e salva”. Ne sei proprio sicura? Un thè, alle tre e trentasei, un recipiente di paglia, la fiamma del camino che monotona non è, e staresti a guardarne il movimento per ore. Le mosse, le movenze, i gesti, le furtive occhiate, magari un po' di fame... Ma sì, sarai proprio tipo da panino porco, coi formaggi e la carne, con le salse e le aspettative. Con lo yogurt per dessert e un contorno di attese. È nello spazio che intercorre tra adesso e il dopo che l'infinito si fa largo; è realmente lì che una vita si frappone tra i nostri destini. È in quel momento che ti do un nome, una storia, un passato. Un futuro. Mentre stai lì davanti al bancone, con i capelli a caschetto menomati dal viaggio, mentre appartieni a tutte le nazionalità del mondo, mentre profumi di nuovo, mentre odori di biscotto. Seduta, gambe accavallate, dovrei trovare neologismi per descriverti, dovrei inventare frasi idiomatiche, nuovi modi dire, sistemi di misura, tare, pesi e contrappesi. Tu che sei unica, perchè appartieni solo ai miei pensieri, con la tua felpa, gli occhiali da ridisporre nella giusta collocazione, alle tre e trentasei. Caschetto martoriato, borsa troppo grande per te, che sei minuta. Un bianco trascorso, una nuova automobile, ancora libri da leggere e da studiare, un'altra furtiva occhiata. Capelli raccolti in una coda, sguardo indagatore sullo sguardo, attraverso lo specchio. Vetrine da guardare, pollice sui tasti del telefonino; sei una storia, la mia. Alle tre e trentasei, pieno di cibo in pancia, sigaretta appena fumata. “Posso fare il check-in?”- chiedi. Certo che sì, tre zollette di zucchero, i tuoi occhi che ingaggiano un rendez-vous coi miei, dietro l'angolo,ancora e ancora. Davanti al bancone, castano è tutto di te, rappresentanza di autunno, di foglie gialle sulla felpa verde; sordo machete che si fa largo nella foresta in cui sto combattendo con gli animali-zollette. Tre e trentasei, davanti al bancone, con le scarpe da viaggio, senza berretto, senza ostilità, senza incanti. Solo un canto, solo una sirena lontana, solo una storia infinita che si frappone tra i nostri destini, tra adesso e il dopo. Infinita, perchè spacca il momento, alle tre e trentasei. Scartoffie dentro la borsa, biglietti e documenti ordinati, confezioni di biscotti aperte, jean's sdruciti ma comodi. Pollice tra i denti, mordicchi la pellicina, ti riaggiusti gli occhiali, ingaggi un rendez-vous coi miei occhi, a metà strada tra te e tre animali-zollette. La felpa, i richiami ad un'adolescenza appena andata via, i libri e l'apnea. La cautela e le gambe accavallate, le luce che va via, il bancone che non ti accoglie più. Chè sono le tre e trentasette, e da poco ha cessato di esistere quell'infinito che ho fatto di te.

venerdì 2 dicembre 2011

Lurida Bastarda Poesia

Disgusti espressi da donne insignificanti, “rubbish” buttato lì come se dentro ci fossero sacchetti pieni di leccornie, l'ennesima figa pronta a parlarmi ad un palmo; e poi fare figure da stupidi mentre dentro tutto procede con la meraviglia solita, solita intesa come aggettivo qualificativo. Il sole pallido delle tarde mattinate inglesi accompagna l'incedere verso il prossimo Christmas, il secondo della serie, senza la PlayStation, chè Zoltan se l'è portata a casa e ci gioca a Call Of Duty. Vivo le provvisorietà altrui facendole mie, solo per un attimo. Poi casa mia continua a spostarsi con me, tra le righe di questo romanzo ambulante, tra le note di un pezzo dei Pedro the Lion, mentre osservo il mio giubbotto appeso vicino al radiator che proverà ad asciugarlo, inzuppato com'è, il giubbotto, per colpa dell'ultima pioggia assassina. Assassina come me. Keep Calm and Carry On, recita il poster che ho comprato e che ancora non mi sono deciso ad appendere alla parete della stanza mia e di Frank; forse sto aspettando che lo faccia Frank. Come al solito. Ma non mi serve alcun monito, io gli strumenti per non dar peso alle superflue cose ce li ho già. Chè la matita temperata a dovere mi mette una pace che non ha nemici. Neanche quando i miei suggerimenti si rivelano azzeccati e nessuno me ne dà atto; neanche quando faccio un canestro da tre punti, o quando la mia schiena mi chiede pietà, mi chiede di non sforzarla con questo impeto. Tanto poi la chitarra riprende ad arpeggiare delle note che impalmano tutto ciò che c'è dentro, e tutto quello che c'è intorno. “E se vuoi goderne, amica mia, gambe in spalla e olio di gomito”- nessuno ha mai detto che si tratti di una cosa facile. Cri mi ispira poesie insensate, e mentre parlo con lei, che cazzo di cosa strana, mi ritrovo sulla litoranea di marzo, con i mandorli in fiore. Sciarpe, datemi delle sciarpe che proteggano il mio collo. Sta nascendo, cari miei, sta nascendo la Mia Storia, e a leggerla saremo in pochi. Me la tengo volentieri, per il momento, la mia Lurida Bastarda Natura; me la tengo così com'è, con i miei berretti da fighetto fintamente trasandato, con i jean's chiari sulle tre strisce delle scarpe; con le mie metafore grammaticali, con i miei temi ricorrenti; e ancora con il proponimento di andare allo stadio con Ester, o ad un concerto con la biondina francese. L'avvocato lascialo a casa, qui ci siamo solo io e la notte, e un paio di collant quasi sconosciuti. Ma la voglia di spartire tutto ciò è come fosse prigioniera, ma non è paura, sto solo prendendo tempo...la mia Lurida Bastarda Natura. Ho bisogno di un tagliaunghie, di espellere il superfluo, di estromettere, di catapultare via, di allontanare le incongruenze. È inutile per alcuni fare finta di niente armeggiando con le palline dell'albero di natale; è totalmente insensato cercare di darsi un tono, quella sensibilità la smaschera facilmente un bambino di sei anni. Io almeno, dalla mia, c'ho quella sincerità che mi fa forte agli occhi degli altri, e anche ai miei...ogni tanto. Un altro episodio, thanks a lot amico mio. Con la speranza che non si giri a vuoto, perchè ne abbiamo di cose da fare, ne abbiamo di storie da raccontare, ne abbiamo di canzoni da cantare; abbiamo tante canzoni da ascoltare ancora. E così ho passato un'altra notte fuori, e un'altra verrà di seguito, tratteggiando con stile; un'occhiata al profilo facebook, una telefonata con Andrea, due risate intelligenti. Tanto poi Gennaio arriva, e siamo ancora qua. Intanto, “rubbish”, per dirla all'inglese, e ancora occhi da incrociare, state sicuri che lo so che arriverà la Vera Pasqua anche per me, o solo per me. L'unica cosa che vale la pena di attendere, per il momento, tra le strade di “quasi Natale”, tra i disgusti espressi da insignificanti donne, tra posters da attaccare alle pareti in mezzo alla spazzatura piena di leccornie, è il ritorno della PlayStation; se Zoltan avrà la compiacenza di riportarla. Chè a Call of Duty può giocarci tranquillamente anche qui.