giovedì 28 marzo 2013

Tre Destini

Le canzoni molteplici si avvicendano dentro di me. Scatto una foto panoramica del mio mondo; scatto una foto panoramica della mia essenziale vita con finestra sul cortile, sulla strada, sul niente di niente. Seduto su un divano, mi metto un po' più comodo, e allora mi ci sdraio, quasi mi ci stravacco. Passa un pezzo di Pavement, lei distoglie l'attenzione dalle sue cose e mi chiede:”chi sono questi?”. Paradiso! Marco, il grande cane che da subito mi ha amato con la passione di un animale che vive la sua noiosa solitudine, adesso ha capito il ruolo che gli è stato affidato. “Band anni novanta!” sentenzio io, mentre in due ci si ferma a fare l'aritmetica di quanti anni aveva... Ancora foto panoramiche, di questa living room che ci avvolge, di questo smart phone che mi riporta indietro nel tempo, del suo laptop di ultimissima generazione che l'aiuta nell'arduo e felice compito di organizzare un viaggio lungo. Lontana da me. Lontana da me, con tutti quegli averi, con tutte queste performances che la attanagliano, che la schiavizzano, che la rendono distante anni luce. Eppure è qui, due piedi poggiati sul tavolino di fronte, due mani sapientissime digitanti sulla tastiera, due occhi misericordiosi attenti e concentrati...un piccolo sguardo rivolto al sottoscritto che da di matto sforzandosi di mantenere il tutto ordinario. Il cane accucciato, le sigarette di tutti i tipi sparse sul tavolo, una birra cinese, una coca, un pezzo dei My Blody Valentine, nessuna richiesta di sapere chi sono. Poi un'accorata occhiata alla finestra che da su questo sconosciuto mondo che prende il nome di un Castello, i piedi liberi dalle scarpe, una carezza a Marco, “good boy” (non ho mai sentito un suono più dolce); e la prendo per mano. Niente storiacce sporche, niente ardori artefatti, niente plastiche esibizioni. “Ti sto guardando camminare, ti sto osservando nel tuo incedere, so con esattezza che stai percorrendo il giusto itinerario. Ma non interverrò neanche sotto tortura”. E mi basta così, mi basta tanto. Provare nuove convinzioni, accettare nuovi tempi d'attesa, dormire in stanze diverse e avere timore di ricongiungersi da qualche parte nella prima mattinata. Primo strato di ghiaccio eliminato, adesso un bel break. Ancora avvicendarsi di canzoni, “Sing me to sleep” suggerisce il Candido Poeta; c'è il tempo per il pranzo, noodles e uova e pomodori e cipolle. “Chopsticks or fork?”, e me lo chiedi? Gli occhi che si incrociano, errori di battitura, firme su ipotetici “pagherò”. Il cane ci chiede attenzioni, e noi non lesiniamo. Fantastica scusa. Ancora divani, ancora domande e risposte, ancora risate e pianti, o tentativi di pianti. “Numero trentacinque”, “le cose che abbiamo in comune”, prossima volta pasta, prossima volta cinema. Prossima volta. Lenti, come le mani che si sfiorano, come il pane che cresce dentro il forno, come i pensieri pomeridiani che trasvolano leggeri mentre il sole è andato via, la luce diventa fioca, gli occhi si chiudono e si schiudono; una voglia matta di andare da qualche parte a dimenticare insieme il passato bislacco; poche certezze, ma ci sei venuta al pub in cui bevevo da solo. Si avvicendano le canzoni dentro di me, mi occupano per non farmi incappare nell'errore della velocità. Tre destini benedetti, in questo angolo di mondo, in questo angolo di una casa troppo grande, in questo soggiorno assassino, che uccide tutti i passati con una raffica di particolari. È l'ora di andare, e allora sulla macchina saliamo in tre: io, lei e Marco; il silenzio ci chiama e ci coccola, dagli altoparlanti arriva qualcosa, io sto con i Pixies, grazie. Una controllata paterna a Marco che sta dentro il cofano, ma ci sta leggero e tranquillo. Che voglia matta che ho di essergli presente. “Lasciami qui”, un bacio buono buono, strizzo l'occhio al cane. Poi percorro docile la via che mi porta a casa. Si avvicendano le canzoni, io resto sospeso, scatto un'altra foto panoramica che va dalla voglia di realtà al sogno speranzoso. Decido per la palestra, inforco le cuffie, adesso le canzoni durano il giusto. Non ti rivedrò per molto tempo. E sono convinto, finalmente, che sia giusto così.

martedì 19 marzo 2013

Le Età di Lulu

Le primavere sono tante, alcune sono false. Il Bcb diventa fonte di guadagno, di spiragli, di ritorni. Il Bcb diventa due volta casa; e allora, gioco forza, c'è più tempo per scrivere, per divagare, per sfoggiare un inglese striminzito ma funzionale; per messaggiare, per bagnarsi di sogni che diventano incubi, di speranze che diventano sogni, di incubi che diventano profumi. Intanto ho dimenticato di dire allo chef di non mettere aglio nel riso al doppio arrosto in un luogo che si chiama Sim Su Ye, o cose del genere. Ma che importa? Lei pare immensa, e la cosa mi preoccupa e mi fa stare bene allo stesso tempo. È sempre così, nessuna aspettativa e il traghetto è già bello che in alto mare. Voglio dire, io e l'intera Cina ci siamo riappacificati in un sol colpo! Anche se ha i capelli colorati, una macchina di grossa cilindrata, il concerto di una qualche cantantessa dinoccolata a Maggio. Forse mi ha pure invitato, ma io stavo da qualche altra parte, stavo ancora seduto in quell'angolo di Chinatown, stavo ancora guardando la sua bocca schiudersi in un sorriso. E poi ancora, stavo guardandola allontanarsi nel suo essere cool, così cinese del Nord, così ben ambientata in Europa. E allora la più puerile delle domande non si scioglierà così facilmente. Cos'avrà voluto dirmi con quel “I'm really lucky to meet a friend like you”? Le primavere sono tantissime, lo so, vi prego, non c'è alcun bisogno di ricordarmelo. Ma io vivo di questo, ho sempre vissuto di ciò. Di tuffi in queste piscine di buoni propositi, di atti definitivi, di palazzi sormontati da tramonti; c'ho trecento pound in tasca, mi bastano fino alla fine del mondo. Cioè stasera. Come volevasi dimostrare l'America Centrale non ha poi tutta questa importanza nel Risiko, e un motivo ci sarà pure. Ci sarebbe da fare l'elenco dei point in common, ma poi mi sovviene di sobbalzo che magari stiamo inventando qualche storia supplementare. Che meraviglia sarebbe. E che scoperta grama, visto che so che le primavere sono tante, e alcune sono false. Storto come un ramo dilaniato dal vento, mi aggrappo solenne al mio accento italiano, alla mia supposta natura fashion che non si sa mai. Potrebbe essere una deriva diaspora derelitta disarmante. Poi il suo modo di tenere le mani sul volante, i miei occhi fissi sullo spiraglio di viso non nascosto dai capelli colorati; e ancora le mani...al prossimo che mi chiede perché sono attratto da codeste cose magari arriva un pugno. Mangio l'ennesimo biscotto al cocco tempestato di cioccolato, il sapore aglioso dell'immenso gusto di una cena insperata non mi sta abbandonando docile. Io mantengo con facilità delittuosa la voglia di correrle dietro; aspetto. Certo cambierebbe il mio mondo odierno se solo inserisse la retromarcia. Se solo prendesse la tangenziale, se solo facesse una curva lunga lunga tracciando una maiuscola C di Cuore. Allora Dio avrebbe un senso, perché anche di Lui abbiamo parlato. Le primavere sono innumerevoli, sembrano tanti cerbiatti che scappano impazziti di felicità. Sembrano astronavi spaziali che salvano l'umanità dal pericolo imminente; sembrano primavere. Alcune sono false, ma anche loro all'inizio danno quella sensazione. Poi si perdono. Poche, pochissime, sono come i treni in partenza per Liverpool, come le finali del mondiale, come un passaggio trovato in mezzo al deserto. Il sapore dell'aglio si disperde pacifico e manganellato. Io e il mio sangue l'abbiamo scampata bella. Io e il mio cuore ci stiamo guardando trattenendo il respiro. Con dedica speciale a chi non crede nella grandezza di Fabio e delle sue capacità. Con affetto e simpatia a chi crede ancora che di primavere in un anno non possano essercene più di una. Come vorrei farti piangere di gioia...

lunedì 11 marzo 2013

Some Girls Are Bigger Than Others

Amanda vorrebbe trattenermi a casa sua, al centro del centro di Chinatown. “Se hai sonno, puoi sempre dormire qui...”. E io, sergente astuto, faccio finta di niente; non mi curo del fatto che subito dopo l'eiaculazione ho già preso il volo, sono già fuggito via come l'Islandese, e non mi sforzo di non farglielo capire. La tristezza è una cosa meravigliosa, amica cara, ma solo se a produrla è il mio deep inside. Fakebirthday's Cakes fanno capolino sulle paginette stanche delle virtuali cose, frasi assassine senza spazi e punteggiature producono il puerile abisso tra me e le mie pochissime certezze. Amanda dovrà aspettare il suo turno, in compagnia delle sue lacrime false e profondissime, in compagnia del suo letto quasi sfatto, in compagnia delle sue canzoni R n B da adolescente occhialuta ogni anno promossa, nonostante abbia da mo' superato i trenta. Fortuna che ho portato gli auricolari, così mi disintossico un po', e la lunga passeggiata verso il ristorante è cadenzata dal suono Lo-Fi dei Blond Red Head, due italiani e una spettacolare ragazza orientale. Fate vobis! Il Conclave Asiatico deve ancora iniziare, anche perché non si è ancora capito se la Papessa in carica si sia effettivamente dimessa, o sia morta dentro un uovo. Scusate l'ardire. Il finto ristorante italiano che mi conosce bene ha la prerogativa lancinante di aprirmi i battenti davanti, come fossi il vincitore. Un'occhiata a destra, una a manca; un bacio di qua, un saluto dall'altra parte. Vicino alla cucina c'è un tavolo di black girls, di quelle che a volte mi mettono in testa la strana idea di resettare la mia bussola. Basterebbe un “I'm Fabio, Italian Guy!!!”, per sconcertarle un po'. Scorgo il tavolone variopinto delle mie amiche, mi ci butto come fosse serve and volley, battutine astratte, non tanto comprensibili, ma i galloni del simpa me li sono guadagnati in tempi non sospetti. Sembra una pagina word in giustificato, questa congrega variegata di vagine al mirtillo, questo passerume che non mi suscita attrattiva, salvo il caso di mantenermi vigile e con l'animo perennemente abbronzato. Tiziana porta gli occhiali, e mi piace pensare che essi stessi producano di me un'immagine che si avvicina tanto alla forma di una fotocamera:”Mi fa una fo'o?”, si proietta ortogonalmente la ragazza fiorentina. Ma sarebbe riduttivo didascalizzarla in sì modo. È vero che basta un semplicissimo “non rompere i coglioni Tiziana”, ma mi ci vorrebbe un mese di post per spiegare realmente cos'è, e cosa porta in dono questo piccolo grande caterpillar che viene dalla toscana, che porta sorrisi e canditi, che porta massi sul cuore, cercando con un'educazione martellante di distribuirne il peso su tutti noi altri. Asia è la regina! Non foss'altro che per il pancione che porta seco, e che tiene dentro il piccolo miracolo che, ormai l'ho capito, non si chiamerà mai Fabio; ma in fondo che importa. Una cucchiaiata di torta, un limoncello malandro che si mischia fluttuante alla mezza bottiglia di vino cileno che ho ingurgitato poco prima per farmi piacere l'idea di mettere le mie sacralità nel corpo dell'Amanda di cui sopra. Sabrina, la signora bbona, cammina sul filo invisibile tra il sofisto e la pajata, il suo inglese è fluent e trasteverino, il suo corpo è modellato col marzapane, le sue tristezze sono messe in ordine, i suoi vizi in vetrina. Ce la vedo bene, Sabrina intendo, con un cappello a falde larghe, un sorriso allo yogurt, e un tramonto caraibico. Il ruolo del Jolly è della mia piccola Laura, che mi guarda di tre quarti perché io e “quello stronzo” condividiamo lo stesso giorno di nascita, che gioca il gioco della sincerità, che mi punta il dito contro con la consapevolezza che mai sarà offensivo, che accende la luce con un semplice sorriso, ché noi siamo amici da tempo immemore, e lo eravamo già il primo giorno che i nostri occhi si sono incrociati. Il resto è un po' contorno, poca attrattiva, sembra tutto già masticato; una volta che sai come funziona, puoi partecipare facile facile al quiz show. Ma poi arriva Sara, che è ingegnere . Arriva Sara, che ha le braccia affusolate, il culo alto, le trame del viso ammalianti, e vota per La Destra. Ci si sfiora un po' le mani vicendevolmente, ci si parla di cazzate e di cose che potrebbero cambiarti la vita. Sara sta messa lì, nessuno direbbe mai che fa eccezione, ma per me è come se indossasse l'alta uniforme in mezzo alle mimetiche. Ci scherza su, Sara, ci va con le molle, ci gira intorno, e poi magari si chiede cosa realmente vorrebbe dalla vita. E io vorrei urlarglielo in faccia che “no, non funziona così”. Oppure vorrei portarmela a letto, e provare con lei le porcherie che diventano pulite tuttauntratto! Ma io sudo volentieri cercando di rimanere aggrappato ancora un po' a questa esistenza un po' packman. Con l'ultima vita e col pillolone lontano. Mentre cammino a ritmo verso casa, mi accorgo con letizia che la batteria dell'I-Phone è lontana dall'abbandonarmi, e non penso alle occhiate furtive dei signori nei tavoli vicini che posticciamente invidiano la mia presenza da unico maschio in un tavolo al femminile. Non penso al ballo goliardico del Pitcher and Piano. Non penso a Sara volata via prima del tempo. O alla Lauretta caduta ancora nella sua piacevole ragnatela. Non penso a Tiziana, passata ad un altro must delle sue ricorrenze:”Oh Fabio, metti le fo'o su feisbuk”. E non penso a Sabrina, alle sue rughe sexy, e al nostro modo dirty di dare spettacolo al mondo. Le amo tutte, del mio amore malvagio e indiscriminato; travolgente e superiore. Penso invece ai Blond Red Head, due ragazzi italiani, e una giapponese spettacolare. Penso al mio speciosissimo Conclave, e alla mia Papessa, dimessa o morta dentro un piccolo uovo di niente.

venerdì 1 marzo 2013

Si Sta Come D'Autunno

Dalla lettera di un soldato al fronte

Ovunque nel Mondo, In Qualunque Momento

Cara mamma,

so che dovrei dirti di non preoccuparti, e che sto bene. Ma so anche che mi hai insegnato il valore dell'onestà, che sta alla base del nostro comune fine, e che devo metterlo in pratica in ogni occasione. E quindi che onestà sia. Fa tanto freddo qui, forse e soprattutto perché siamo in pochi, e allora risulta difficilissimo riscaldarci vicendevolmente. Anche se noi sappiamo benissimo come si fa. Il nemico ci attacca da tutte le parti; sono orde di animali inferociti dalla voglia di appartenere a qualcosa, dalla brama di sentirsi importanti. Le nostre postazioni di artiglieria pesante si producono quotidianamente in uno sforzo sovrumano nel tentare di arginarne l'incedere. Ma non bastano i meriti e le competenze. Loro hanno una stupida furbizia dilagante che riesce a toglierci le forze. Stiamo arroccati qui, nella nostra trincea di sogni e di munizioni spuntate che non vengono recepite dal nemico, e loro attaccano da ogni dove. Li riconosci perché sovente hanno una camminata dinoccolata, accompagnata da una risata senza stile, senza leadership, senza karma; altre volte sono perfetti nelle loro uniformi impeccabili, anche quello è un espediente che vorrebbe mimetizzarli. Noi fortunatamente non cadiamo nell'inganno. Anche se non siamo equipaggiati per le semplici scaramucce, noi vorremmo disintegrare ogni più piccola molecola che li compone. Di tanto in tanto ci astraiamo dalla lotta e osserviamo le vergini praterie. L'altra settimana, cara Mamma, abbiamo cercato di fermare l'avanzata nemica con raffiche di gergo ricercato; poi abbiamo rincarato la dose citando Leopardi a memoria; e Giuseppe Giusti, e la Revolucion dei Peones. Naturalmente non hanno capito che era solo sfoggio di erudizione! Anche se loro stessi hanno poi risposto al fuoco con delle risate starnazzanti, e allora abbiamo dovuto riparare in un angolo del campo di battaglia. Il fatto è, mia dolce Mamma, che non c'è acume che tenga, non c'è logica che basti, non c'è educazione che possa, contro l'assordante fragore delle loro musiche “giuste”, del loro artefatto divenire. Dovremmo studiare il modo di isolarne uno, solo così possiamo annientarli, stanandoli uno per uno, senza che essi usino la becera forza che li contraddistingue quando in gruppi più o meno corposi si raccontano distorsioni di verità. Ma farlo richiederebbe troppo tempo, e allora anche la nostra missione prenderebbe le forme e le sembianze della loro. L'unica è cercare di bombardare le loro nuove leve con degli ordigni di umiltà, e di apertura di meningi. Ma come fare a isolarli dai loro superiori? Questi ultimi sono essi stessi un'arma quasi invincibile, un ostacolo insormontabile. Il fatto è che la nostra guerra la stiamo conducendo contro persone che hanno la convinzione di essere come noi. Ci abbiamo provato con il tatto, con i sorrisi ammiccanti, con le parole semplici da tramutare, via via, in più complesse. I più temerari tra noi sono addirittura usciti allo scoperto, e hanno sparato raffiche di buona volontà, di tertuliano cameratismo, addirittura di bontà. Ma ahimè cara Mamma, abbiamo visto i nostri nemici nella loro macabra trasformazione, e da semplici spettatori si sono arrogati il diritto di avere voce in capitolo, cosa che fanno con una velocità disarmante ed impressionante. Quella è stata una cocente sconfitta, una dura ritirata. La ricerca dei rinforzi è operazione che va per le lunghe; a volte capita di essere convinti di avere trovato un buon soldato per la causa, ma il più delle volte si scopre che è stato il nemico, il beffardo traditore del pensiero, a mandarlo, tanto per confonderci le idee. Altre volte, e ciò mi disarma più di tutto, è la stessa nuova leva che non si capacita del fatto che lui, per sua natura, appartiene alla fazione che sta al di là delle nostre barricate. Così ci tocca pure di combattere all'interno del nostro perimetro, ed è difficile fargli capire che per stare con noi egli stesso deve cimentarsi in un cambiamento radicale delle proprie convinzioni. Anche se in questi casi, Mammina, c'è sempre la valida opzione del viaggio culturale, della visita ad un museo, magari per cercare di immaginare cosa stava pensando l'artista mentre pennellava; oppure un bel bombardamento di conviviale discussione sulla cinematografia di Scorsese, sui temi ricorrenti di Kubrick, sul frenetico montaggio di Oliver Stone. Quando succede, li vediamo scappare via ammutoliti, e allora rincariamo la dose sulle ali dell'entusiasmo, e ci mettiamo dentro elementi di psicologia, studi dei comportamenti umani, sociologia, fisica, poesia applicata ad uno qualunque dei rami dell'esistenza. Dovresti vedere le loro facce, Mamma, coi loro occhi spalancati, con i loro sguardi persi nel nulla. Sono quelli i momenti in cui ci mettiamo più lena, e allora aggiungiamo un'arma che loro non posseggono: la voglia di imparare. Solo così pensiamo che alla lunga possiamo sconfiggerli. Ma poi sembra quasi si moltiplichino, e allora è come se dovessimo ricominciare daccapo. Ieri il Capitano ci ha detto che l'unica arma che dobbiamo avere in comune con loro è la perseveranza. Anche se sappiamo benissimo che la nostra perseveranza e la loro hanno nature diverse. Il mio compagno di battaglia mi da ragione quando dico che la loro non è proprio perseveranza, è più ripetitività. Loro sono come le falene che sbattono costantemente contro la lampadina accesa, si bruciano, scappano dal calore, riguardano verso la luce, ci si ributtano, si ribruciano e così via...
Spero che tutti voi a casa stiate bene, e non preoccuparti troppo, Mamma, sai benissimo che i Cretini difficilmente fanno più male del fastidio che provocano; quindi fossi in te non mi lagnerei troppo di ciò che di realmente pericoloso potrebbero fare alla mia persona fisica. Preoccupati piuttosto, come facciamo noi che abbiamo scelto di stare qui in trincea, di ciò che potrebbero, dilagando, fare all'intera umanità.

Con tanto affetto, e tutto l'amore di cui sono capace

Tuo F

P.S. Se non vieni raggiunta da questa missiva, probabilmente è perché il postino è un soldato nemico