giovedì 29 settembre 2011

Frankamente

Sam si scaglia sulla tua vita con violento impeto, inversamente proporzionale alla sua stazza, mentre il postino entra senza guardare dove mette i piedi, intento a leggere per l'ennesima volta il nome del ricevente la missiva; i due orologi attaccati al muro ci ricordano l'ora brumma e quella ungherese. Si gioca e si scherza, dentro il Bacpackers Hostel di Birmingham, West Midlands, United Kingdom. E ancora lattine di birra, le mappe che ci dicono dove siamo e dove vorremmo andare; c'è sempre qualcuno seduto al computer che si può utilizzare liberamente in barba al cartellino che dice che l'operazione costa 50 p ogni trenta minuti. Che differenza fa se la filodiffusione ci propina un canto gregoriano, un pezzo di metallo pesante o un capolavoro dei Joy Division, uno qualsiasi? Io mi siedo nel mio angolo di mondo, e poco importa se ogni tanto c'è chi se ne impadronisce prima di me; restano i pensieri, le ossessioni, i miracoli. Fabio il cartomante di sè stesso non sempre ci prende, e l'entropia che si forma è talmente emozionante che pare l'abbiano cantata gli Housemartins. Le feste, le foto, i riti propiziatori, un Magnum alle mandorle; compri i condoms e il ragazzo del negozio ti fa l'occhiolino; il Brasile, col suo carico di poetica tristezza; ancora una volta fuori a succhiare da questa cannuccia che però pare troppo sottile. Il giovedi sera con davanti un Bacardi, mentre con Tam Tam si discute di guerre e di libri che raccontano di guerre, e di soldati, e di Russie che vincono, e di Russie che danno il loro grande contributo all'umanità. Ma quando torno lì, nella casa che mi accoglie, a volte dimentico quanto quella casa è caleidoscopica. Perchè hai voglia, Fabio, a fare ancora la pantomima eterna della vita liceale, con le ragazze che nei giorni in cui tutto sembra andare per il verso giusto, fanno la gara per farsi le foto con te... Arriva sempre il momento in cui lo sguardo si posa benevolo su Frank.
Frank è il mio roommate, il mio compagno di stanza, il mio coinquilino; ma più semplicemente Frank è Frank. Ha 42 anni, ma ne dimostra 70, cento, diecimila! È nato a Praga, quando ancora Praga era la capitale della Cecoslovacchia. Frank è un uomo presente, anche se non ti accorgi di tutto ciò se non ti ci metti di impegno. Ha i capelli lunghi e bianchi che raccoglie quasi sempre in una coda appoggiata sulla parte superiore del capo che lo fa sembrare un novello occidentale samurai. Ha la barba bianca che lo rende simile ad uno di quei vecchi marinai portuali che hanno sempre qualcosa da raccontare. Ha le rughe che sembrano solchi, e dentro quei solchi c'è lo spazio necessario per comprendere tutti i vissuti di un uomo che si capisce a occhio nudo che ha saltato una lunga serie di passaggi. Frank con un matrimonio alle spalle, che ha avuto a che fare con una stronza che lo ha trattato male. A volte le persone non si rendono conto di quanto sia importante il loro apporto nel rendere speciale una persona che altrimenti sarebbe normale. Ma questa è una storia lunghissima da raccontare. Frank il giramondo, lo immagino intento ad armeggiare coi pezzi del motore della Land Rover che ha comprato su E-Bay, mentre rivive i suoi trascorsi a Los Angeles, California. Lo immagino seduto con le gambe incrociate, ad osservare l'orizzonte, a rivedere mentalmente un cartoon ceco, a rileggere quel passo di quel libro. Frank rolla una sigaretta, si staglia dal suolo coi suoi centottanta e più centimetri; la Foster a portata di mano, mi sorride e mi ricorda che siamo fratelli, sì, ma di madri diverse. Frank, un paio di braccia, cento storie da raccontare, a volte tenute gelosamente dentro un misterioso scrigno, milioni di pialle recapitate da chissà quanti mondi e paesi che poi il nostro sistema gelosamente dentro il laboratorio di falegnameria che ha approntato dentro l'ostello; Frank a volte sembra schizofrenico, ma non mi ha mai fatto paura; sembra che cammini con un paio di forbici in mano, sembra che debba scoppiare da un momento all'altro, sembra che la signorilità gli appartenga come fatto spontaneo. Lui di sera si piazza davanti al computer del bancone e comincia a puntare il click del mouse su youtube: i Pixies, soprattutto, per farmi piacere... poi sorride ancora, aprendo i solchi vitali delle sue rughe. Quando è andato via per due settimane, io mi sono sentito un po' sperduto, tant'è che una volta tornato, gli ho sussurrato un “never more”. Ancora solchi, ancora rughe, ancora sorrisi, mentre Frank prepara per sé un piatto di pasta, mentre si accomoda nel “suo” ufficio, direttamente subito dopo l'entrata della common room; una risposta per ogni domanda, di cui lui però non fa sfoggio se non sei tu a chiederla. Lo immagino ancora, chissà, da qualche parte a fare autostop, da qualche parte ad amare una donna, da qualche parte a piangere per il padre morto. Frank non ha paura di niente, soprattutto delle sensazioni umane che di tanto in tanto si provano. E non interviene in cause che non lo riguardano; se gli chiedi la sua non ti liquida su due piedi, ma non si dilunga a dismisura. È didascalico, Frank, ma appare più come un quadro appeso ad una parete di una chiesa. Frank incede né allegro né triste, con le braccia forti da novello San Giuseppe Falegname, sposta il posacenere, perizia la nuova pialla che sta dentro la scatola di cartone, succhia dalla sigaretta appena rollata, e poi mi guarda. Frank mi guarda e mi ricorda che andrà tutto bene, chè la vita non deve per forza essere quella che dicono loro. Qualcuno incontrandolo potrebbe pensare che non sia normale, io sono sempre più convinto che la sua normalità sia talmente propria da renderlo speciale. Siamo una famiglia, Frank me lo sussurra senza dire niente, siamo fratelli, sì, anche se di madri diverse.

1 commento:

  1. Non ho neanche avuto modo di salutarlo... Concordo con te: Frank è Frank. Il resto, è bello scoprirlo piano piano, poco alla volta, come quando si sorseggia un buon caffè, sperando di non raggiungere mai il fondo della tazzina. Come è successo a me.

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