giovedì 15 settembre 2011

Marga e le Farfalle

“Sono Margarida, aspetto con impazienza il mio momento; nella sala, tra le nuvole, acciuffando con grinta tutta la mia concentrazione. Sono Margarida, alimento le mie speranze con la forza della mia giovinezza. Tra un po' è il mio turno; tra un attimo. Un attimo ancora, ancora una volta in bilico. In bilico tra due situazioni diametralmente opposte: la musica e il silenzio dell'anima, la tristezza e il coraggio. È quello che ho sempre sognato, suonare, pigiare sui tasti neri e bianchi e muovere l'aria, e produrre suoni che diventano musica, e cercare l'infinito, e cercare la perfezione. Sono qui, con la voglia di scrutare attraverso le quinte per vedere chi c'è; oppure no. Respirando, facendo esercizi mnemonici, storcendo il naso, sorridendo nervosamente. Margarida io, troppo attratta da questa favola che oggi un po' odio, perchè mi porta lì, a un passo dal burrone. Ho scelto il vestito, ho scelto le scarpe, ho scelto lo scialle. Ho scelto di dire a tutti del mio recital, e lascio per il momento che le farfalle si impadroniscano del mio stomaco...ho paura, o forse no...”

Ci provo. Ci provo a dare un senso ai pensieri di Margarida, portoghese di Lisbona, pianista, occhi che tentano di celare con difficoltà insormontabile una fanciullezza appena passata. Adesso sono seduto sulla parte destra della platea di questo freddo teatro. Tetro, questo luogo, perchè sono sensibile. È uno di quei giorni in cui la mia sensibilità mi rende più vulnerabile; è uno di quei giorni strani in cui faccio scelte condivise da pochi. Adesso mi rendo conto che formiamo veramente uno sparuto gruppo dentro questa sala immensa che contiene i convenuti. Margarida ha chiesto a tutti di venire al suo recital di fine anno. Suonerà il piano per noi, e per chi avrà l'onere di giudicarla. Ma il giorno è feriale, l'orario inconsueto, il tempo fa le bizze. E allora il gruppo è sparuto. Il cielo brummo, fuori da qui, è grigio; è perfetto per la musica di Margarida. Mi muovo un po', giocherello con il programma che mi hanno dato all'ingresso, metto il cappello al contrario, poi mi risistemo, tiro fuori il telefono, scorro con lo sguardo la sala costruita con tecniche moderne, ma qualsiasi gesto è rumoroso. La eco di una sala troppo grande sembra quasi un aquilone gigante che pervade tutto e tutti. Sento l'emozione salirmi addosso, una solidale emozione per Margarida che suonerà per tutti noi, perchè è uno di quei giorni in cui sono sensibile, talmente sensibile che raggiungo una vulnerabilità che mi farebbe gridare:”ok, fate di me ciò che volete”. Ci provo ancora...

“Sono Margarida, quella nota provata e riprovata non potrà fare andare tutto in malora; andrà tutto bene. Deve!!! Tra le stelle, nella mia stanza, e adesso qui, senza finestre, con le mani sulle ginocchia, sempre in bilico, sognando un trionfo; oppure no. Che tutto passi, il formicolio ai polsi, il disturbo al basso ventre, è sempre la stessa storia. Lo farò, lo farò ancora. Margarida, partita dal Portogallo e capitata qui, per ora, dove la musica è apprezzata, dove posso inseguire il mio sogno. Basta così, tra un po' è il mio momento. Chissà chi c'è, chissà chi è venuto, chissà come sarà...”

Vorrei che tutto passasse in fretta. Eppure questo luogo mi mette pace. È armonico, come una pedalata senza fatica; di più, come un sonetto di duecento anni fa. Vorrei che questa sensibilità, che mi rende vulnerabile, mi abbandonasse, solo per il gusto di sentirmi più forte. Anzi, vorrei tanto riuscire a traslarla, questa sensibilità, vorrei trasformarla in qualcosa di utile per me. Ma come si fa? E come farlo anche per Margarida? Che è portoghese di Lisbona e tra un po' suonerà per me, e per pochi altri convenuti. Uno sparuto gruppo. Coloro che la giudicheranno stanno lì, al centro perfetto della platea; poi ci sono gli amici, una ragazza dai lineamenti asiatici, un ragazzo col cappello. Anche io ce l'ho, il cappello, e ogni tanto lo rigiro al contrario per fare scorrere il tempo... Margarida è sicuramente dietro le quinte; Margarida sta sicuramente ripassando tutti i movimenti che dovrà fare. Forza Margarida! Ci provo, ma sì dai...

“Sono pronta, è il mio momento”.

C'è troppo silenzio. I passi di Margarida sul legno del palco producono un sordo tonfo, ma sono rumorosi e invasivi. È questo il suo ingresso. Il viso è tirato, i suoi occhi indagano, ma lo fanno per inerzia, come se fossero guidati dall' istinto tipico di chi lo scopre solo in certe occasioni. La mente è veloce, vorticosa; le palpebre sbattono all'impazzata, e scorgo anche un leggero tremolio. Io mi ridesto dalla posizione comoda che ho assunto da pochi minuti senza neanche accorgermene. Margarida è sulla scena. Un timido applauso; il suo sorriso, quasi di circostanza, diventa per un attimo liberatorio. Margarida siede di fronte al piano, e per un attimo sembra quasi che i suoi occhi incrocino i miei. Sono occhi troppo diversi da quelli soliti di Margarida, portoghese di Lisbona. Sono occhi fieri, pronti per la battaglia, una strana battaglia. Poi Margarida comincia a suonare. Tutto scompare attorno a lei; tutto diventa opaco. Margarida e il suo strumento ingombrante, il pianoforte, che è un animale peloso, un goffo mostro antidiluviano. Ma se lo tratti bene, se sai indirizzarlo nella giusta strada, ecco che diventa foriero di grandi attrattive. Margarida adesso è sola, con la sua musica, astratta da tutto sta tracciando ad occhi chiusi una linea invisibile tra lei e me, che oggi sono sensibile, orrendamente vulnerabile. Lei picchia con forza sui tasti quando deve farlo, si libra in volo quando il pentagramma glielo chiede. Margarida non ha un suolo sotto i piedi; non ha un esiguo gruppo di persone che la stanno ascoltando, non ha una signora disponibile che le cambia la pagina degli spartiti. Margarida non ha occhi addosso, e non ha più paure, pensieri che le attanagliano la mente. Perchè la mente di Margarida adesso è sgombra. Musica, tanta, per ore, per secoli e millenni. E intanto la mia sensibilità nemica si abbandona alle note di Marga, che non ha uno scialle, non ha un vestito a fiori, non ha un paio di ballerine ai piedi... ma solo una musica che pervade la sala, torna dietro le quinte, sbatte sui muri, invade l'immensa platea, mi colpisce con amorevole violenza. E, con impetuosa voluttà, trasformando in forza le paure di Margarida, converte la mia sensibilità in una sorprendente, meravigliosa, beata vulnerabilità. E allora mi chiedo che senso ha tentare ancora di dare un senso ai pensieri di Margarida, fantastica pianista, portoghese di Lisbona...

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