venerdì 28 ottobre 2011

L'Uomo Jonico

La cappa umida avvolge i tetti, le antenne tv, i pali della luce, le signore intente a fare cernita nell'atto di comprare dal fruttivendolo ambulante. Forse è una fortuna che il paesino in cui decidemmo di andare a vivere qualche anno fa sia ancora legato a certe atmosfere da film di Tornatore; lo è nella misura in cui il passaggio dai grattaceli brummi al baretto in cui si fa incetta di panzerotti alla crema, di granite alla mandorla, di respiri freddi di calde arie, diventa segmento lungo lungo; diventa varco epocale di spirito, di orologio, di membrana, quasi di karma. Non è più caramellato questo mondo che mi accolse e mi sputò, sembra una scatola vuota, un contenitore di gerontofilia che non ammetterebbe l'ennesimo pezzo di Yuppie Flu che mi frulla in testa. Mentre io, cocciuto, continuo a dargli un senso. Sto bene, conviene subito che ve lo dica; sto bene, negli incroci di sguardi con Valeria, che risulta buffa quando mi racconta di viaggi a Londra e lo fa con l'accento siculo, mentre le sue fattezze sono normanne, o mitteleuropee. Sto bene quando Angelo mi chiama per dirmi che tra un po' mi verrà a prendere; quando la mia mamma si preoccupa di farmi mangiare, quando il mio papà canta in un inglese improponibile (adesso lo so) un pezzo andato di Frank Sinatra, The Voice. Ma il fiume di emozioni che mi ha investito subito fuori dall'aeroporto si è subito tramutato in pozzanghera attaccata senza appelli dal sole delle undici. Troppo celere l'anno brummo, troppo scattante, e sembra quasi che non sia esistito nulla tra quando ci entrai, in quell'aeroporto, e adesso. Le t-shirt comprate da Sport Direct sembra che mi tendano una mano, come a ricordarmi che il passato prossimo esiste. Eccome! Allora sto qui in bilico, tra un conto alla rovescia e la fretta di riporre tutto al posto giusto, in questo soggiorno siculo troppo corto; troppo lungo. Lo smile che mi regalò Sciù è ancora incredibilmente gonfio, mentre tra i libri della mia stanza non scorgo più i cadeuax del periodo artefatto di quel sole plastico. L'asfalto ha fattezze negative; come le aspettative ridicole che hanno contraddistinto l'attesa di un ritorno che, invece, sapevo benissimo che non avrebbe avuto scossoni degni di cotanto senno. Un'altra sigaretta, con le ciabatte ai piedi, tra i perenni disordini, con i consueti malesseri. Un altro pensiero rivolto al clima tropicale che sta cambiando i profili della mia terra natìa; i pomeriggi sul letto sfatto, l'aspirapolvere in continuo rumoroso movimento. Dalla finestra scorgo solo un muro grigio di vecchiaia e solitudine, e un pezzo di cielo. Devo essere io l'attrazione di me stesso; e allora mi preparo per la doccia, i sali profumati, gli sguardi simpatici, le preghiere recitate perchè tutto fili liscio. Porterei con me tutto o quasi; non porterei niente dentro la mia vita altrove. Mi manchi Brummia accogliente, mi manca quel pozzo di energia che hai riservato per me. E che qui si perde, meglio, si disperde. Nelle salite irregolari, nei talk show televisivi, tra gli atti di schiavismo per una vita agognata che continua a farsi attendere. Vi voglio bene, credetemi, ma cazzo quanto siete lontani... La valigia rimarrà in quello stato fino all'ultimo, fino a quando la richiuderò. Lasciando questo mare, la montagna, la squadra di calcio, le aspettative. E anche questa cappa umida, che avvolge i tetti, le antenne tv, i pali della luce; e le signore intente a riporre negli stipetti il comprato dal fruttivendolo ambulante.

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