sabato 5 novembre 2011

Prigioniero

Gente che soffre di amori lontani, cazzoni che raccontano inedite storie; e poi sentimenti quasi adolescenti che nascono, muoiono, fanno le gare e si disintegrano vivendo. Il camino in common room è troppo acceso, troppo ambito dalle ragazze anglosassoni con le calze bucate che gli mostrano il culo, che sorridono, che mangiano un improponibile piatto di pasta alle cinque del pomeriggio. Digbeth, a volte, ha la prerogativa di essere uno stradone che non ospita nulla, come se fosse in perenne attesa. Ma pullula la vita da quelle parti, caspita se lo fa! Tra gli intendimenti di Frank che armeggia col radiatore del suo fuoristrada antidiluviano, tra le manie di Josh che si perizia i tatuaggi, tra le mille attenzioni di Mesci che fa l'ennesimo bucato; dentro il negozio vintage dove le commesse cantano in playback il pezzo diffuso dagli altoparlanti del locale. Io invece mi incanutisco vieppiù nelle lande desolate del Paese dei Vecchi; non che ci sia qualcosa da ridire, ma credo di sapere con esattezza cartesiana quali sono le genesi dei miei mali. Credo sia già finito lo spirito di questa vacanza in bianco e nero, virata seppia, che continua a non dire nulla, che continua a dire tutto. Il fatto è che il colore delle mie scarpe fa una fatica incredibile a fare pendant con il grigio dell'asfalto, con il nero della roccia lavica; sarà un grigio diverso, sarà un nero meno darkeggiante. Voglio il bianco dei clamorosi vestiti di Kim, l'azzurro degli occhi di Kasia, i finti ammonimenti di Zoltan. Voglio tornare al pozzo dal quale ho attinto tutte le mie delizie; voglio cercare e ricercare, voglio la Vita preparatoria dell'uomo che ho cessato di essere prima di arrivare lì, dell'uomo che continuerò ad essere una volta arrivato sul portone della stazione di Moor Street. Niente di personale, spero, ma ho scoperto appiattimenti di cui conoscevo solo le teorie. Adesso ho la riprova che il prossimo volo avrà destinazione Nuova York, Bogotà, Kuala Lumpur. Troppi libri, qui, e neanche uno aperto; vengo per ricaricare le batterie e mi accorgo che ho lasciato l'occorrente in un'altra isola. Nessun profumo mi inebria le narici, nessuna scatola mi mette la curiosità di scartoffiare aprendola, nessun ospedale mi rattristisce come in altri tempi. E poi ancora nessun numero di telefono riscoperto mi mette l'ansia di provare a comporlo. Ho ritrovato il giusto incedere del tempo, ma a che prezzo? Per scoprire che qui tutto è immutato? Per non riuscire a sorvolare sulla pochezza di ciò? Preferisco il vorticoso avanzare delle lancette brumme, scusate l'ardire.

1 commento:

  1. So cosa provi... Guardando fuori dalla finestra la pioggia padana, non mi sarei mai immaginato di rimpiangere quella brumma. Dirai: "Che differenza fa?". Ti dirò: la fa.

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