venerdì 26 luglio 2013

Un Poveraccio di Merda

Dovrei essere teso e nervoso, che poi è la stessa cosa. Dovrei passare in rasegna tutti i motivi della mia inconsolabile esistenza; farmi una notte insonne, sentire crescere i battiti del mio cuore, la mia pressione salire. Dovrei, forse, andare a zonzo e raccontare dell'ennesimo errore altrui, andare in giro alla ricerca di gente che annuisce e dimostra vera o posticcia solidarietà. E invece no!Quei tempi sono belli che andati. La scoperta, o la prova, che basto a me stesso è arrivata puntuale. Priorità! Il percorso da qualche tempo è cambiato; sempre dritto, verso i grattacieli del city center, costeggiando melenso la vecchia stazione di Snow Hill, gettando lo sguardo sulla giamaicana sporadica che aspetta l'autobus dall'altra parte della strada. Lavori in corso. E allora questa chiesa senza nome che fa pandant con il parchetto antistante, da piccola e ascosa, diventa mnumentale, mentre già dall'altra carreggiata cominciano a dar segno di sè le ombre plastiche del centro cittadino, così remoto, così volgarmente vicino. Tagliamo di qua, dico a Fabio, che nel frattempo contempla per l'ennesima volta i suoni, le note, le minime e le semibiscrome di Mogwai, che attraverso le orecchie fanno capolino nel cervello. C'è tanto da dire, c'è tantissimo da recriminare, ma si va avanti, le energie adesso vanno risparmiate. Ai giri di parole, alle frasi ricercate, agli arzigogolati punti di uno speach puntuale preferisco di gran lunga la pace meritata dei miei sogni; le purezze di un animo spigoloso ma fiero, malinconico e a volte spietato. Lei, la mia lei, si produce in uno sforzo senza tempo e senza limiti; sa di darmene contezza, senza darmene contezza. “Sorry, ma non voglio uscire con te”. L'agiatezza, le concretezze, gli involucri da spaccare avidamente e poi mettere negli appositi contenitori dai colori pastello. Perfino un nuovo animale domestico ha prerogativa di essere caduco e labile, come un cappello da indossare in un'unica occasione, e poi mettere via. Questo lei lo sa, e lo so anche io. Così, sotto il palazzone dell'Holyday Inn, accarezzato dal fresco del prato sotto i miei piedi, scanso senza mordente i cattivi pensieri altrui, e mi ritrovo a sognare la di lei Rivoluzione. Ce ne hai di tempo, oh pretty love. Un cappuccino tall, il sorriso della cameriera dello Starbucks, la voglia inconsolabile di saper disegnare, mentre i Mogwai, ancora e sempre, mi accompagnano. Queensway da attraversare guardando prima a destra e poi a sinistra. Si entra nel campus, Lakeside, la finestra diventata ordinaria, gli zainetti colore dell'arancio. Chi si ricorda più di quella mancanza di forze, io sto bene. Mi manca solo un po' di coraggio, ma so che potrò anche morire senza, e nel frattempo avrò fatto tutto ciò che la vita può offrire. Il resto è di passaggio; come i pini nelle autostrade del nord, come i resti di una pizza maldestri su un piatto, come il bollitore dell'acqua dimenticato acceso. Come una conversazione amicale fatta per necessità che si perde nella pochezza, nella noncuranza, nella superficialità del giudizio altrui. Come un prestito di denaro, puntualmente restituito, che diventa occasione per smascherare l'inconsitente natura di chi ci mette tanta lena ogni giorno per non far trasparire quanto piccolo e insignificante è il proprio mondo. E allora mi tengo la mia vita. Mi tengo le mie tranquillità, mi tengo, non me ne vogliate, i pochi punti cardinali che ho scorto lungo il mio cammino. Ai livori dispensati indistintamente, alle bottigliate al vetriolo scagliate per far male, al gusto effimero di distribuire dolore con la consapevolezza postuma che tale pratica non solo non funziona ma sortisce l'effetto contrario, preferisco le mie passeggiate minimali in compagnia di Mogwai; preferisco il contingente sole brummo che si posa dolce sui muri del tramonto, i miei sogni birichini. Preferisco i miei sguardi sul mondo, la natura e la prospettiva incantata di un “Poveraccio di Merda”.

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