mercoledì 24 aprile 2013

La Principessa del Castello

Non guardo più le stelle aspettando che qualcuna venga giù. Non ce n'è bisogno. Si può fare altrimenti una cosa semplice, che ai più risulta banale. Appuntamento a Coffee and Cream, una telefonata amicale con uno sconosciuto, un po' di attesa condita dall'ennesimo racconto dell'ennesima avventura inimmaginabile; intanto Lei (che non è mia) fa il verso delle mie movenze, lo fa teatralmente, con ampi movimenti di braccia. Il Signor N sorride, ride, quasi applaude. Comincia così la nostra guerra disperata contro il sistema delle cose, contro i paraocchi della mente, contro le definizioni imparate a memoria. Poi si sale su un cab, il tassista per antonomasia o è fraterno oppure ha l'aria di chi si rompe i coglioni fin da quando ha aperto gli occhi la mattina precedente. Questo, nella singola fattispecie, appartiene alla seconda categoria. Bello mio, ti stiamo dando una banconota con la faccia della Regina e due luccicanti monete metalliche; mica per forza ci dobbiamo curare del tuo stato d'animo. I viaggi in taxi sono sempre una bella scusa per stare un po' zitti, per farci gli affari nostri. E così succede che io me ne vado un po' con l'ausilio delle mie fantasie, N Le tiene la mano, Lei si fa prendere la mano da N. Sporadiche frasi in italiano, poi triangolazioni di sguardi, “chi ha il codice?”; il tassista sembra quasi non ci sia, se non fosse per il fatto che dalle parti del counrty side è lui che ci sta portando. Alberi, come stessero giocando, in questo pomeriggio che volge a sera, nel centro del centro della nostra Inghilterra. Siamo arrivati, e impongo il mio sapere ai miei compagni di viaggio, ché questo posto io lo conosco, e loro no. Marco ci salta addosso alla vista, ci regala u po' di sano pelo; lei e Lei si abbracciano sincere, io e N ci regaliamo il milionesimo sguardo di intesa. Il profumo che viene dalla cucina promette; la palestra, la notte quasi insonne, il viaggetto a piedi per raggiungere il campus prima e quello in macchina per arrivare fin lì mi hanno un po' sfiancato. Fame, fame di cose buone, fame di cose che incredibilmente mi ricordano mamma, una calpestata allo yard, una visita alla casetta del signore sconosciuto, un primo brindisi fatto con gli occhi che scintillano. E i miei dubbi si appollaiano sulle mie spalle. Faremmo bene ad addormentarci tutti, qui adesso. La protagonista del mio racconto ci mette olio di gomito ad entrare di prepotenza tra le righe; ma che volete che importi. Le cose ordinarie dilettano molto di più. Intimare al cane di sedersi è opera svogliata che non ottiene risultati definitivi; intanto via di bacchette, nel castello di Castello, un occhio all'orologio, sicuramente la partita è cominciata. Ma non mi alzo da qui neanche se mi danno una rendita indicizzata. Lei (la mia?) mi canzona, si diverte in modo confidenziale, e io mi sento il Presidente. N ci arricchisce delle sue battute, Lei si sente protetta. Il resto del mondo è fuori. Anzi ancora di più. Perché appena al di là della finestra c'è un ritmo statico, un panorama di alieni, una prateria di dolcetti per le feste. Non c'è null'altro da aggiungere, se non fosse per le pietanze che catturano il palato, e lo fanno veramente. Non voglio andare oltre, preferisco lasciare i commensali lì, dove stanno, preferisco prendere vie traverse, magari la solitudine del sofa e la Champion's League non mi ridestano dal sogno che tutto ciò potrebbe essere vero. Un giorno, chissà. Ma anche no. Sento il fuoco della sigaretta bruciare la carta che avvolge il tabacco; sento i passi pesanti del cane coccolone che sta per raggiungermi, sento le risatine normali come “musica da un'altra stanza”. Sento che non voglio che il tempo passi, che voglio urinare negli angoli di questo paradiso; che voglio sfiorarle le mani. Guitar Hero ci ricorda chi è la vera Principessa, mentre io mi siedo comodo al mio posto, quello di chi deve solo osservare. Gli occhi di N luccicano di sonno, Lei è accondiscendente per grazia ricevuta. Non mi sento come un bambino che non vuole andare via, faccio ciò che di giusto va fatto. Arriva la telefonata dell'uomo elastico che ci riporterà tra i grattacieli, al campus, agli odori e ai sapori di tutti i giorni. Io mi avvinghio al bicchiere di moojito preparato da lei, Lei combatte con la voglia residua di coccole del cane. Il Signor N rimette le scarpe, posa le sleepers nell'apposito armadietto. Lasciamo il castello del Castello, i suoi profumi e le sue performanti prerogative; si apre la porta, gli abbracci si sprecano, i sorrisi però sono sinceri. Io e lei incrociamo uno sguardo. Tranquilla, questa attesa va solo perdonata. Toh, chi si era accorto che la sera è bella che inoltrata. Il cielo è limpido, le nuvole sono in ferie. Ma io tiro dritto, c'è un altro tassista che incomberà sulle nostre esistenze per un'altra ventina di minuti. E non rivolgo gli occhi al cielo; satollo come un dio greco nel giorno di festa, non guardo più le stelle aspettando che qualcuna venga giù. Non ne ho più bisogno.

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