martedì 16 aprile 2013

Al Mio Posto

Quel letto è troppo morbido. Ancora (quanto mi piace la parola “ancora”), nella penombra e nella luce; ancora, tra le dune di questo deserto sconfinato. Sempre, gli scarti dei ritagli lasciati fuori dalla porta di questa casa sconsiderata. Scendere dalla macchina, cappello alla rovescia, borsone in spalla, fare finta che tutto sia ordinario, fare finta che ci si sta incamminando verso qualcosa di definitivo. Fare finta. Il letto è troppo morbido, ci dormo troppo bene, eppure ho una voglia putrefatta che sia già mattino, che suoni la sveglia, che sia giustificato andare lì, a prendermi un po' di vizio artificiale. Sempre; i divani dividendi, una doccia casalinga, il cane che ci riempie di peli, la sua mano; le sue mani. Pagare la sua spesa con la mia card, ricevere un clamoroso e dolcissimo silenzio in omaggio. La sua felpa, i cuscini nel retro della macchina, le buste di Tesco, il succo, “hai preso il latte?”. La cucina è Hi-Tech, le lenzuola sono linde, il letto, sì proprio il letto, è troppo morbido e accogliente. Lo odierò tantissimo quando si tratterà di prenderne la via. Ma adesso è vita. Ancora (sì proprio ancora), le metafore grammaticali si scagliano su di me a cascata, la macchina è parcheggiata fuori, davanti la porta del garage; il tagliere mi consente di affettare i funghi e le zucchine; l'olio sta lì, al suo posto, sale quanto basta. Il cane mi chiede attenzioni, lei gira per casa. C'è sempre qualcosa da rimettere a posto. I piatti buoni, il sugo non deve toccare i bordi, “prepara il tavolo, se non lo hai ancora fatto”; il suo sorriso bimbo. Una parte di me si scioglie, ma resisto. Resisto perché l'uomo che è in me deve avere la meglio. Glielo devo, me lo devo. Un angolo del mio cervello è ancora affaticato sul pensiero di un letto troppo morbido, troppo rilassante; una sigaretta, ché qui si può. Oh se potessi. Poi il Kentucky, due “sostituti”, chissà forse come noi. Le lacrime che si ostinano a non arrivare; la mancanza di feelings, i miei angoli ascosi, i fiori artificiali. Arriva il Candido Poeta, ogni tanto lo fa: “morire al tuo fianco...”. Oppure no. Ancora, annaspare alla ricerca di angoli di giubilo, mentre si copre le caviglie per il fresco che accenna timido che la sera è bella che arrivata. Uno stanco lasciarsi andare alle terrene digitate, le sue sporadiche robe da teenager, il mio essere paterno. Ancora, il mio essere bramoso, il mio stare al mio posto, le sue mani, così diabolicamente vicine, così angelicamente lontane. “Un'altra sigaretta!!!”. Mentre così vorace è la mia voglia di sfiorarle quelle mani, e di farlo con sapienza (fin quando non lo faccio veramente). Fin quando non ripenso al mio posto in quel letto troppo morbido, alla mia sveglia, al mio stupido sacrificio di dormire un'ora in meno. Al momento buio in cui dobbiamo salutarci nel sole acceso del mattino brummo; al momento bastardo in cui ci muoviamo a scatti ché non sappiamo che tipo di abbraccio scegliamo dalla gamma delle formalità. Al momento cinico in cui dobbiamo smettere di parlare e parlare ancora, e dobbiamo prendere la strada del letto. Già, quel letto troppo morbido e comodo per passarci sopra una notte insonne, per passarci sopra con un ventaglio aggiornato di malinconie; morbido per spenderci una nottata di grattate di mani. Ma va bene così, forse. Ancora.

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