venerdì 25 novembre 2011

Bentornato

“Tra un mese andrò via, mi mancheranno i miei amici, coloro che cominciano a diventare famiglia; mi mancherai tu”- Claire si crogiola sul giaciglio fatto di nulla, fatto di tutto; sul giaciglio fatto di tutto solo per pochi minuti. Ci provo come uno sconsiderato a mettere nero su bianco, a reindirizzare me stesso, a farmi vedere dalle parti del mio giusto ruolo. Sono tutti così i luoghi? Tutti hanno questa prerogativa? Ognuno di loro cela in sé questa attrattiva? A me piace pensare diversamente. Cercherò di essere descrittivo e didascalico. Cercherò di farlo. Tra le tele di questa mostra permanente, mentre acchiappo un momento per acchiappare quello successivo; durante le pause sigaretta fuori del Victoria Pub cercando di flirtare con l'ennesima francesina venuta qui ad assistere un qualche insegnante di una qualche scuola media, venuta qui a farsi fare i complimenti dall'ennesimo tipical italian. La mia casa lì, ad un passo dalle luci del City Center, i biscotti Fox al cioccolato, la strana incongruenza dei miei sonni, la benevola presenza di Frank, l'impagabile solitudine del mio letto. La Brummia Immensa accoglie e distoglie dalle terrene cose, ti scaglia con placida violenza dentro un pianeta di polveri benefiche; le luci non illuminano e basta, le luci ti ballano intorno, ti proteggono, ti ammaliano senza prenderti in giro. Attendo un taxi, dopo l'amore e con le gambe un po' molli, mentre una ragazza ebbra mi chiede una sigaretta, si presenta ruttando il suo nome, Kate; prova a dire le solite frasi in italiano quando scopre le mie provenienze. Lascio che mi scrocchi la “fag”, mi fingo interessato ai suoi “mi chiamo Kate, and...and..and vengo di London”, poi mi volto e guardo l'orizzonte City Center, le luci e i colori, dal mio punto di vista, dalla strada collinosa di Moesley, mentre Kate continua ad imperversare con i suoi conati di vomito. Non la ascolto più, di più, mi immergo con lei dentro l'attesa per nulla fastidiosa di questo pakistano tassista che mi chiama da due ore, chè non capisce quale possa essere la strada giusta per venirmi a prendere. Sono le 3 passate da un bel po', ma non ho fretta. Non trattengo nessun nervosismo. Mi basta un pezzo dei Karate, la voce calda di Farina, il basso avvolgente di questo rock bluesato che si unisce agevolmente con le brumme caratteristiche. Kate è pronta al vomito o forse no, non si ricorderà di me domattina, ma fa niente; adesso siamo due amiconi di vecchia data. Mi chiedo ancora se tutti i luoghi hanno questa prerogativa, se ci riesce Berlino, se in qualche modo ce la fa Liegi, se in passato Milano è stata ricordata così. Io mi godo la mia Birmingham, lungi dall'essere la città avvolta nel panico cantata dal Candido Poeta. “Tomorrow Yardbird”, tanto per gradire, per succhiare ancora, per ricordare a me stesso il mio ruolo assassino, fatuo agli occhi dei più, per nulla artefatto, incommensurabilmente vivo e vero. Kate guarda per le terre come cercasse ancora l'angolo più d'uopo per scaricare la non misurabile quantità di alcool messa in corpo; fai pure, mi verrebbe di dirle, tutto ciò continuerà a proteggerti. Claire starà già dormendo, o forse starà chiedendosi il perchè io non sia rimasto a dormire da lei, completando il suo giaciglio fatto di nulla e di tutto; ma non è il momento di cercare qualcosa che non mi appagherebbe. E comunque non mi va di tentare di spiegarlo. La natura vuole che le mancheranno gli amici, coloro che cominciano a diventare famiglia; perfino io... Kate mi fa un cenno con la mano, come se volesse salutarmi e fermarmi al tempo stesso, come se dagli inferi del suo stato quasi comatoso volesse non lasciarmi, chè sono stato salvifico con la mia sigaretta, ma io sono già dentro il taxi. Destinazione Digbeth, please, non per altro. La mia casa è lì, e poi tutte le luci del City Center, i biscotti Fox al cioccolato, la sacra solitudine del mio letto, la benevola presenza di Frank, le sane incongruenze dei miei sonni, le abitudini che vengono e che vanno. Ok, un caloroso bentornato a me.

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