domenica 2 giugno 2013

Sentenza

Come fosse urlato. Immagina di stare davanti ad una giuria, o ad un plotone di esecuzione. Oppure davanti a me, che è la cosa che più conta, che è la cosa che ha meno importanza. Colpevole! Te lo schiafferei in faccia, o te lo sussurrerei ad un orecchio; te ne leggerei la sentenza, ti additerei paterno ma severo. Tu sei colpevole, di averla data vinta (solo parzialmente, forse) ad una vuota vita piena di tutto, senza chitarre, con qualche piano, con le tazze in coordinato, con un mucchio di devices, un altro animale a quattro zampe. Colpevole, nella villa delle ville, con il sole che ti bacia i capelli, con le mani affusolate, col cappello ricercato, con il carnefice a portata di mano; mentre la tua vittima si fa mostro per sopravvivere, da qualche parte, e tu sei e resti (solo per il momento, forse) colpevole. Tra le rive dei piccoli corsi d'acqua, nella parte più superficiale dei tuoi pensieri, dove tutto è plastico, dove tutto è artefatto. Sfido che ti senti stanca, per forza ti scopri debole. La tua coscienza ti rimanda ai tuoi doveri, ai tuoi doveri verso te stessa. Ti ricorda che sei colpevole, contro l'umanità, contro i tuoi anni, contro colui che scrive. Anche se a volte sembra quasi non importi. Ma tu intanto sei colpevole, rea, costantemente con le mani nel sacco. Responsabile delle mie pene, e perciò tu stessa meritevole di una; responsabile delle tue angoscie, e perciò doppiamente colpevole. Di fare finta di tenere alta la tua guardia, mentre invece l'hai abbassata, con dolo, consapevolvemente, contro le tue supposte perfezioni, che cadono tutte una ad una nel momento in cui vivi una vita senza senso sociale, senza anima, ma con molte suppellettili. Tu, colpevole, di aver indossato il vestito dell'egoismo, di averlo truccato, di averlo riempito di sabbia su una battigia solitaria; impalata stai lì a far caso ai rimandi di una mente che vola via, a cambiare canale della radio con un semplice click, a rimediare lavori di legno. Colpevole, di tenere ordinati gli scaffali delle futili cose, e di sfuggire ai meravigliosi disordini della vita vera (adesso, chissà per quanto ancora). Ti ho tenuto una mano tesa, ti avrei anche lasciata andare, ma ti avrei comunque liberata; tu invece hai scelto la tua cara latitanza dall'esistenza, e cosa molto più grave, hai scaricato le responsabilità su di me, raramente, piangendo dentro. Hai costruito un mondo piccolo piccolo, e ci ha messo dentro un portachiavi firmato, un sacchetto di fiori secchi, qualche spicciolo, e tanta angoscia. Bramo la tua riabilitazione, il tuo reinserimento in società, le tue rinascite; anelo il tuo mea culpa, le tue posate di plastica, una sigaretta che non odora di nulla, se non di sigaretta. Vita, tu colpevole condannata alla vita, quella vera. Non quella che tu hai creduto completa, ma quella che ti completerebbe dandoti la finale, eterea, definitiva coscienza di te stessa. Ti perdonerei qualunque cosa...

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