giovedì 9 maggio 2013

A Team

Come un suono di viole, continuato, quasi infinito. Tu trattieni il respiro, aspettando che se ne vada, che in qualche naturale modo scemi, scivoli via verso un finale d'uopo. Ma non succede, e senti che i tuoi muscoli vanno indebolendosi per mancanza di ossigeno; senti che il tuo cervello richiama il fiato necessario, la giusta inspirazione. Le viole continuano nel loro perenne incedere, nella loro distorsione della realtà. E tu aspetti. Com'è giusto che sia. Stai quasi svenendo, stai quasi per abbandonare lo scintillante mondo della coscienza, stai per dire addio a tutti. E a te stesso. Ma poi ecco che quel suono cessa la sua presenza... Un batterista batte i quattro quarti, una chitarra entra come un lungolinea, una palla tocca l'incrocio delle righe. “La vita è assai lunga quando si è soli” diceva il Candido Poeta. Io mi sono fatto tanti amici; non così tanti, ma il giusto per accaparrarmi una buona consapevolezza. La consapevolezza che morirò da questa parte della barricata, con la schiena dritta, muovendo l'anca a ritmo, una strizzatina d'occhio; suscitare l'ilarità di chi merita, ancora per oggi. Domani chissà. La mia cartella musicale è piena di grazia, piena di tutto, piena di tante leccornie. Oggi aspetto ancora un po', aspetto un altro piccolo cadeaux, come l'altra notte, quando con naturalezza lei mi ha scritto “I'm here...”. Quasi a ricordarmi con chiarezza che...quasi a ricordarmi con assoluta mancanza di chiarezza la nostra appartenza all' A Team. Piccolo fiore, piccolo cuscino sul quale mi accoccolo un po'; piccolo ricordo che diventa grandissmo quando la mia mente, senza parole e senza fatti, se ne sta un po' lì, dentro qualla macchina, dentro quella casa, in mezzo a quegli odori unici. Dentro quegli occhi vivi e malinconici; in mezzo alle campagne, in mezzo a quei sogni che con fatica compiono il percorso inverso per raggiungere una mortifera realtà. Fabio giù, quando si accorge che le terrene cose modificano le nature altrui, quando tutto diventa prigione, quando le scudisciate fanno male perchè colpiscono a ritmi imprevedibili, ma con precisione, lì sulla schiena. Hai voglia ad allenarla. Ma una mela la puoi sempre tagliare in due. Class A Team, solo per un attimo, io e lei, mentre arrivano dardi scagliati da sudovest, o forse anche da est, mentre si mangia tanto da qualche parte nel campus; Class A Team, per un tempo infinito, mentre abbraccio l'aria attorno a me, mentre non uso l'organizer, mentre dimentico ogni parte del suo corpo, mentre ricordo tutto con nitidezza. E ancora mentre “we don't wanna go outside tonight...”. Mancano quagli attimi in cui ci si teneva consapevolmente a distanza, in cui ci si scrutava, in cui si ascoltava Ludovico e il suo piano. In cui ci si sbarazzava della zavorre della comunicazione. Tutto, avevamo tutto. Ma a termine. Adesso mi chiede spazio, mi chiede tempo, mi chiede la solitudine per rimettere in ordine la stanza, la casa, la vita. Sola, come le persone come me non fanno, come le persone come me sanno per sentito dire. E così il lungo monotono suono di viole diventa colonna sonora tra le stanze vuote, tra le pizze insapori, tra i bicchieri d'acqua amari, tra le frasi sconnesse del resto del mondo. Mondo che non si cura della propria natura. Io, senza verbi da spendere, trattengo il fiato a più non posso, le viole devono pure finirla prima o poi. Arriveranno due sapienti mani di batterista, quattro battute; entreranno una chitarra e un basso. E allora, finalmente, si ballerà.

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