lunedì 17 settembre 2012

Licenza di Guado

Metti un piede nell'acqua. Piano, nessuno ti insegue, avvertine la temperatura, ritira l'arto se vuoi, ma poi torna lì. Non avere paura, oppure sì, paura quanto basta. Adesso metti nuovamente il piede nell'acqua, abituati alla consistenza, ai gradi centigradi, al fondale inesplorato; poggia la gamba d'appoggio, sorridi di paura. Sorridi per scacciare la paura. Metti a mollo l'altro piede, mentre il primo si fa accompagnare dal polpaccio, dalla gamba. Smetti la maglia, buttala via, verso la riva del corso d'acqua. Due piedi dentro di già, ne hai fatta di strada. Mantieni l'equilibrio, cerca di assuefarti al nuovo stato, tieni d'occhio la riva, allarga le braccia per mantenerti in piedi. L'ultima cosa che vuoi è cadere goffamente, tristemente. Guarda i peli delle tue gambe bagnarsi ed appiccicarsi tra loro, mentre quelli sopra i polsi si drizzano; guarda i puntini dei brividi che si formano per tutto il corpo. Senti i tuoi capezzoli irrigidirsi, i tuoi muscoli contrarsi, le tue mani aprirsi e le tue ginocchia piegarsi. Adesso cammini dentro l'acqua, e sai che puoi muovere una gamba. Verso il centro del corso d'acqua... Pensa, oppure non pensare, metti un piede davanti all'altro, poni una gamba davanti all'altra, spingi con circospezione, battendo la forza dello strano attrito, innaturale attrito. Voltati a guardare la maglia lasciata a riva, la vegetazione asciutta, il cielo che si staglia sopra gli alberi. Poi desisti, rivoltati, osserva il pelo dell'acqua, che lento e inesorabile accompagna il tuo incedere verso il centro di questo canale, che può essere affluente, fiume, passaggio di fluidi che portano ad una cascata. La corrente si muove lenta, ma tu non farci caso. Concentrati. Non troppo. Adesso l'addome è quasi coperto d'acqua, la tua spinta si fa incessante, le tue mani non si sono ancora arrese mentre tu le tieni sopra la testa. Ma sei bagnato, definitivamente nei boxer, inesorabilmente nella maggior parte del tuo corpo. Il tutto comincia ad essere ineffabile, inenarrabile, quasi ingestibile. Ma ti prego, non fermarti, non avere paura. Non bloccare la tua disarmonica camminata sui fondali sconosciuti del fiume. Non c'è panico che tenga, paura che possa sconfiggere il miracolo di ciò che non è familiare. Allora un altro passo, a sommergere il petto, a spruzzare il collo, ad inumidire il mento di sporadiche goccioline; a bagnare i capelli sulla nuca; ad avere un incontro romantico e definitivo con la superficie del ruscello; superficie che chiama, che anela te, che ti sostiene, che è quasi materna. Non senti più freddo, il tuo corpo si è abituato; ma qualcosa ti ridesta bruscamente! Sei lì, esattamente al centro, metro più, metro meno. Che fare? E me lo domandi? Vivi la paura, assecondane le gravità, guardala in faccia, circondala in un perimetro di atti istintivi. Guarda indietro, ripercorri mentalmente i passi che ti hanno portato lì, vivi mentalmente il gusto del ritorno alla riva madre, prendi coscienza del fatto che sarebbe facile farsi riaccogliere dalle strade conosciute. Poi torna alla paura, al mistero, alle cose da fare. Strappa la vergogna con passo azzardato, mantieni basso lo sguardo per scacciare i demoni della tua anima, vinci i rossori e le vergogne. Valica la linea immaginaria che segna la metà del cammino. Adesso è adrenalina pura, la senti? Poni tutto ciò che è stato prima di quella metà in un angolo della mente, tra i ricordi belli o brutti; fallo automaticamente, non perdere la concentrazione. Di più, non perdere l'adrenalina che amplifica le paure, le incoscienze, i sensi di colpa, gli stati di ebbrezza... Ancora un passo e un altro ancora. I tuoi arti sono ormai avvezzi alla camminata dentro i fluidi del corso; i tuoi piedi hanno fatto l'abitudine alle viscide presenze del fondale, all'idea delle creature marine che sgusciano da tutte le parti. Non hai tempo per pensieri di questo tipo. Sei quasi arrivato dall'altra parte, ce l'hai quasi fatta. Mancano ancora pochi passi, pochi metri. Adesso fermati. Non muoverti. Il futuro, a volte, è più bello quando lo si immagina.

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