lunedì 13 agosto 2012

Da Farci La Doccia

Non ci è dato di saperlo. Una prateria, ecco cosa vuol essere tutto ciò, una prateria sconfinata, da attraversare al galoppo, o da superare a piedi scalzi, da valicare guardandosi intorno. Altrimenti ci si ferma e ci si accampa un po'. Non c'è magia, non c'è disillusione o arte e lindi sentimenti; c'è tanta vita da quelle parti, con la ricerca della felicità, non della perfezione. Avvolti e travolti da sensi impazziti, da istinti che andrebbero tenuti a bada. Le polveri si posano troppo tardi, o troppo presto, ma è naturale. Oh mio Dio, ho usato una parola che non mi piace. Perché è ancora e ancora vita; donna, coi tessuti adiposi amplificati dalla coscienza, con la fretta di mettere il sale nella pasta, con la paura di sorridere, e con quella di fare un passo in più. Ma stupenda, stupenda di imperfezioni e di errori, di slanci umani e di cattiverie disarmanti; di voglia di lasciarsi andare e di àncore affondate con tutta la forza sul fondale delle incoerenti congruenze. Non posso giudicare oltre, visto che con le unghie sanguinanti mi aggrappo alle rocce appuntite per non cadere nell'abisso dei tuoi occhi. I tuoi occhi sono oceano piccolissimo nel quale mi ritrovo ancora più piccolo; sono paradiso infernale che mi fa violento, che mi fa scacciare le sirene che cantano il mio nome, che mi fa usare le suole delle scarpe, che mi fa nutrire ancora quella parte di me che non si cura più di niente. Da tenere in alto, ma solo per u attimo, perché la vita degli altri, di tutti e anche la tua, va tenuta a distanza e va osservata; magari proverei a deviare qualche corso di qua e di là. Da tenere a cortissima distanza, mentre metti sei volte il sale nell'acqua per la pasta, o prendi le lattine, o ti lamenti del disordine infinito che c'è nella tua casa, nel tuo armadio, sotto il letto, dentro te... Da scoprire silenzioso, mentre fuori è musica osservante e occhi rumorosi; e volteggi con cautela, perché incontrarsi il più delle volte significa accorgersi delle sofferenze patite nei luoghi persi nel tempo passato. È ancora abisso, incorruttibile abisso, ne scalfiamo la natura facendoci le marachelle, ma tu vinci, perché l'abisso parte dai tuoi occhi. E puoi celarlo dietro la tua natura, dietro il tuo passato e la tua storia, dietro le tue sincere voglie di fare del bene al prossimo e dietro i peccati che continuamente commetti. Ma è tuo, io faccio lavoro di unghie conficcate nelle rocce per non caderci dentro come nelle sabbie mobili; mentre mi chiedo perché mai. Da saltare in padella, da leggerci una fiaba, da tenere al petto; e se vengono anche le moine ce le prendiamo. Da vivere con paura e con coraggio, senza la tv, con lo sguardo fisso al pavimento; sguardo che si ridesta, affonda i suoi occhi con tutto l'abisso che ti appartiene, sorride di finte amarezze. Da farci la doccia, una colazione, una rottura di scatole, una masticata al dentifricio, una passeggiata solitaria per le strade brumme, a chiedersi cosa, a chiedersi perché, a chiedersi quando finiranno le domande e ci si metterà di buona lena a cercare di vivere. Ma di domande possiamo farne tempeste, resta sempre la dolce faccenda, l'inebriante evenienza, la paradisiaca circostanza dell'abisso accogliente dei tuoi occhi. Il resto, non ci è dato di saperlo. E meno male.

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