venerdì 9 dicembre 2011

Tre Zollette

Davanti al bancone, in piedi, con la felpa, i capelli a caschetto. Un mano piegata sulla bocca, il pollice tra i denti, a mordicchiare la pellicina; una mano sugli occhiali, a sistemarli un po', per capire meglio. Capelli neri, caschetto giovane, di venerdi, la borsa capiente, gli occhiali necessari, il numero trentasei. Le mani, la mano, sul telefono, sugli occhiali, a mordicchiare il pollice, la pellicina. Scoppia la bomba, alle tre e trentasei, come il fischio di inizio, come la nuotata in apnea per raggiungere il pallone a centro vasca, come lo scatto della merendina che va incontro al suo destino quando si lancia dal vano che la ospita per finire nello spazio della macchinetta erogatrice dal quale la si può raccogliere. E ancora le mani, a digitare sul telefonino, “sono arrivata”, “sana e salva”. Ne sei proprio sicura? Un thè, alle tre e trentasei, un recipiente di paglia, la fiamma del camino che monotona non è, e staresti a guardarne il movimento per ore. Le mosse, le movenze, i gesti, le furtive occhiate, magari un po' di fame... Ma sì, sarai proprio tipo da panino porco, coi formaggi e la carne, con le salse e le aspettative. Con lo yogurt per dessert e un contorno di attese. È nello spazio che intercorre tra adesso e il dopo che l'infinito si fa largo; è realmente lì che una vita si frappone tra i nostri destini. È in quel momento che ti do un nome, una storia, un passato. Un futuro. Mentre stai lì davanti al bancone, con i capelli a caschetto menomati dal viaggio, mentre appartieni a tutte le nazionalità del mondo, mentre profumi di nuovo, mentre odori di biscotto. Seduta, gambe accavallate, dovrei trovare neologismi per descriverti, dovrei inventare frasi idiomatiche, nuovi modi dire, sistemi di misura, tare, pesi e contrappesi. Tu che sei unica, perchè appartieni solo ai miei pensieri, con la tua felpa, gli occhiali da ridisporre nella giusta collocazione, alle tre e trentasei. Caschetto martoriato, borsa troppo grande per te, che sei minuta. Un bianco trascorso, una nuova automobile, ancora libri da leggere e da studiare, un'altra furtiva occhiata. Capelli raccolti in una coda, sguardo indagatore sullo sguardo, attraverso lo specchio. Vetrine da guardare, pollice sui tasti del telefonino; sei una storia, la mia. Alle tre e trentasei, pieno di cibo in pancia, sigaretta appena fumata. “Posso fare il check-in?”- chiedi. Certo che sì, tre zollette di zucchero, i tuoi occhi che ingaggiano un rendez-vous coi miei, dietro l'angolo,ancora e ancora. Davanti al bancone, castano è tutto di te, rappresentanza di autunno, di foglie gialle sulla felpa verde; sordo machete che si fa largo nella foresta in cui sto combattendo con gli animali-zollette. Tre e trentasei, davanti al bancone, con le scarpe da viaggio, senza berretto, senza ostilità, senza incanti. Solo un canto, solo una sirena lontana, solo una storia infinita che si frappone tra i nostri destini, tra adesso e il dopo. Infinita, perchè spacca il momento, alle tre e trentasei. Scartoffie dentro la borsa, biglietti e documenti ordinati, confezioni di biscotti aperte, jean's sdruciti ma comodi. Pollice tra i denti, mordicchi la pellicina, ti riaggiusti gli occhiali, ingaggi un rendez-vous coi miei occhi, a metà strada tra te e tre animali-zollette. La felpa, i richiami ad un'adolescenza appena andata via, i libri e l'apnea. La cautela e le gambe accavallate, le luce che va via, il bancone che non ti accoglie più. Chè sono le tre e trentasette, e da poco ha cessato di esistere quell'infinito che ho fatto di te.

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