venerdì 13 maggio 2011

Pioggerellina Triste

Tanti amici, tante conoscenze, un sacco di cose da fare. Un trasloco, il Villa che pareggia in casa, il treno, Tonno e il suo locale preferito... Il grado di confidenza è avanzato con tutti; si balla e ci si racconta le cose, i trascorsi, le vite. Tonno beve un'altra birra, Matteo c'ha il torcicollo cronico, Seila familiarizza con tutti; e c'è Montse, la nuova coinquilina di Seila. Montse ha un'aria seria, poi manda giù due bicchieri di vino bianco e diventa la simpatia fatta persona. Niente di nuovo sotto il cielo Brummo. Poi comincia a piovere, quella pioggerellina fatta di spilli che ti colpiscono le sopracciglia, le gote, le nocchie delle mani; gli spilli ti infastidiscono quando si intrufolano attraverso il bavero del giubbotto e ti bagnano la nuca. Poi arriva Zsuzsi, lei la pioggerellina ce l'ha dentro. Zsuzsi è ungherese di Budapest, e mi ha colpito subito per quella sua aria triste. Zsuzsi che divide l'appartamento con un'altra Susi. Zsuzsi la cui pronuncia del nome è inversamente proporzionale allo spelling. Chissà cos'ha dentro? E chissà perché mi appare così triste... i suoi capelli colorati di rosso, quel rosso cardinale così innaturale. Cos'hai dentro dolce Zsuzsi? Perchè quell'aria costante di tristezza? Perchè quel tentativo maldestro di nasconderla, quell'aria? Come se stessi cercando di arginare una corrente fluviale col solo aiuto delle tue mani? Me lo chiedo ogni volta che la vedo; quando stiamo tutti lì a ballare, a divertirci, e lei se ne sta per un attimo sola coi suoi pensieri, con la sua pioggerellina. Io e Zsuzsi ci siamo ritrovati sotto un ombrello a camminare per Broad Street, con la pioggerellina che ci faceva da cornice. Abbiamo parlato di cinema: a Lei, che è tanto taciturna, piace Tarantino, la forza dei suoi dialoghi, l'impareggiabile folgorazione delle sue trovate lessicali; a me, che ogni tanto sono logorroico, piace Kubrick, l'impeto dell'esperienza visionaria, il lento movimento della macchina da presa, la quasi totale assenza di recitato. Ma eravamo lì, io e Zsuzsi, a parlare un po'. Cosa c'è che ti tormenta? Perchè quella perenne aria triste? Mi faccio troppe domande, lo so. Ma cosa posso farci se la mia vita si espleta osservando la gente? Zsuzsi, la sua pinta di birra, muove appena le gambe mentre tutti gli altri ci diamo ai bagordi, protetti dalla pancia dello Yardbird. Zsuzsi ha a che fare con la sua pioggerellina interna, la sua carnagione chiarissima è opaca, il suo sguardo focalizza il corner più lontano del pub. Poi si ridesta come fosse stata chiamata, e io sto sempre lì a chiedermi il perchè di quell'apparente tristezza. E vorrei coi miei trapassare i suoi occhi; vorrei usare i il mio sguardo come fosse un missile e trapanare il suo, ed entrare dentro. Magari poi comincerei a galleggiare come in assenza di gravità; magari non ci capirei niente, perchè sarebbe tutto criptato; ma che delizia sarebbe dover cercare la chiave per decodificare la genesi della sua aria triste. Un picnic, sdraiati su un prato, “passami una salsiccia”, “chi mi da una sigaretta?”, Ester cerca sul suo i-phone la partita del Barcelona, Carles e Margarida fanno fotografie a raffica, c'è il sole. Poi arriva la pioggerellina, poi arriva Zsuzsi; non ti disturba, ma ti mette dentro la curiosità di sapere della sua tristezza. Mi piacerebbe sederla su un sofà, mi piacerebbe dirle:”forza, comincia, sto qui per te, dimmi cos'hai dentro”. I suoi capelli di un rosso cardinale totalmente innaturale, la sua carnagione chiarissima, la pioggerellina fine e fitta... e poi ancora il suo sguardo puntato lì, nell'angolo più remoto della stanza. Alle feste in casa, nei locali rumorosi dove c'è la musica live, sul prato che ospita i nostri picnic. Pioggerellina che fa il giro del mondo, da Budapest fino a percorrere le strade Brumme. E inebria una comitiva in continua evoluzione che però c'ha in sé degli zoccoli duri. Zsuzsi e la sua aria triste. Mi piacerebbe portarla con me in una delle tante chiese di Birmingham, chessò St Philip, oppure St Paul. Ma non dentro, chè Zsuzsi è ebrea e magari urterei la sua sensibilità; nel parchetto antistante, che poi è anche cimitero; mi piacerebbe sedere su una panchina, mi piacerebbe stenderla e appoggiare la sua testa alle mie gambe. Mi piacerebbe leggerle un libro, un Primo Levi o un Giorgio Bassani. Sì, mi piacerebbe scoprire che la sua aria triste ha la sua genesi in ciò che non conosce. Mi piacerebbe stendere Zsuzsi su una panchina, la sua testa sulle mie gambe, e leggerle Il Giardino dei Finzi-Contini; mi piacerebbe leggerle di quando l'amore tra Micol e l'Io Narrante non ha un futuro. E mi piacerebbe vedere confondersi la pioggerellina che Zsuzsi ha dentro con le lacrime liberatorie di una tristezza che finalmente va via...

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